giovedì 24 dicembre 2015

17 dicembre 2015 - Lezione speciale su Giacomo Leopardi

17 dicembre 2015: la lezione di Natale


Grazie alla nostra prof.ssa Pamela Grisei, abbiamo scoperto o compreso meglio che Giacomo Leopardi fu anche un grande filosofo, anticipatore di riflessioni che, mutatis mutandis, saranno comuni anche ad altri filosofi, come Nietzsche e Heidegger, ad esempio.

Per chi si fosse perso la lezione, ecco qua il link: Giacomo Leopardi, filosofo

mercoledì 23 dicembre 2015

12 dicembre 2015 - Lezione 18 - Platone

II Lezione
PLATONE SCRIVE DIALOGHI E RACCONTA MITI


Qui di seguito facciamo un excursus su alcuni dialoghi scritti da Platone e su alcuni miti in esso descritti.
Per approfondire la trattazione di Platone, puoi cliccare sulle lezioni degli scorsi marzo e aprile, a partire da qui: Platone



APOLOGIA DI SOCRATE

L'Apologia non è propriamente un dialogo: è il resoconto del processo di Socrate e della sua autodifesa, poiché accusato ingiustamente dalla democrazia ateniese.

Vi emerge il compito del filosofo: ricercare la verità e la giustizia, seguendo la ragione e non il proprio interesse, e obbedendo alla propria coscienza e al Dio. La vita è concepita come ricerca appassionata del sapere vero e della virtù/giustizia.

Le leggi, per ingiuste che possano essere, vanno sempre e comunque rispettate, mai infrante: ci si può battere per farle cambiare, ma mai violarle








FEDONE
(o dell'immortalità dell'anima)

E' Il dialogo della "seconda navigazione" che conduce a riconoscere l'esistenza di due piani dell'essere: uno fenomenico (e visibile) e l'altro metafisico (e intelligibile).

Il compito della filosofia è quello di liberare l'anima dal corpo.

Si fonda e si giustifica il concetto di anima (che Socrate intende come consapevolezza e come vera natura dell'uomo). Dalla sua accettazione o dalla sua negazione dipende il senso che l'uomo è disposto a dare a se stesso e alla sua esistenza.
→ Immortalità dell'anima ed esistenza delle Idee sono intimamente congiunte.

Al termine del dialogo c'è il mito sul destino dell'anima: Socrate ipotizza un “paradiso”, un “purgatorio” e un “inferno”: i puri vanno in paradiso (i filosofi saranno i più premiati). Ma nessuno può giurare che le cose stiano davvero così.


SIMPOSIO
(o Convito)

Durante un simposio si affronta il tema dell'amore.
Socrate spiega che l'amore non è mai a sé stante, ma necessita di un oggetto: ha perciò sempre bisogno di ciò che ama, e attualmente non lo possiede.

Aristofane narra il celebre il mito dell’Androgino.

Socrate riporta le parole della sacerdotessa Diotima e narra il mito della nascita di Eros, figlio di Pòros e Penìa.

Socrate descrive anche la scala gerarchica di ascesa verso l’amore:
a)dai corpi belli,
b)alla bellezza delle anime,
c)poi delle leggi, della scienza,
d)infine alla bellezza in sé [L'amore platonico].

La bellezza é l'idea che meglio filtra nel mondo sensibile: ad es., vedendo la persona amata, si contempla il riflesso del bello in sé e l'anima viene colta dall'amore.

Simposio: mito dell'androgino
Parla Aristofane. Tempo fa non esistevano solo due sessi, bensì tre: c’era anche il sesso androgino, proprio di esseri che avevano in comune caratteristiche maschili e femminili.
In quel tempo, tutti gli esseri umani avevano due teste, quattro braccia, quattro mani, quattro gambe e due organi sessuali ed erano tondi.
Per via della loro potenza, gli esseri umani, per hybris (superbia), tentarono la scalata all'Olimpo per spodestare gli dei. Ma Zeus, che non poteva accettare un simile oltraggio, decise di intervenire: “Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi”. (Ombelico promemoria!)
Da questa divisione nasce negli umani il desiderio di ricreare la primitiva forza, tanto che le “parti” non fanno altro che cercare la propria metà e poi stringersi l’una all’altra. Così, per non volersi più separare, finiscono con il morire di fame e di torpore.
Zeus allora, per evitare l’estinzione degli uomini, manda nel mondo Eros affinché, attraverso il ricongiungimento fisico, essi possano ricostruire “fittiziamente” l’unità perduta (→anima gemella), così da provare piacere, riprodursi e potersi poi dedicare alle altre incombenze cui devono attendere.
Siccome i sessi erano tre, due sono oggi le tipologie d'amore: il rapporto omosessuale (se le parti erano in principio entrambe maschili o femminili) e il rapporto eterosessuale (se le parti, in origine, erano una maschile e una femminile).
Dunque al desiderio e alla ricerca dell'intero si dà nome “amore”

Simposio: mito (della nascita) di Eros
Il tema del banchetto è l’amore: Socrate cede virtualmente la parola a una donna (Diotima, sacerdotessa di Mantinea) nel senso che narra ciò che la sacerdotessa gli ha detto.

Durante i festeggiamenti divini per la nascita di Afrodite, tra le varie divinità, ci sono anche Pòros (astuzia,furbizia) e Penìa (povertà). Essi, ormai ubriachi, si uniscono e viene così concepito Eros, che ha quindi le caratteristiche dei suoi genitori: è ignorante, povero e brutto a causa di Penìa, ma sa cavarsela sempre grazie a Pòros.
Non è bello, ma sa andare a caccia della bellezza; egli sente l'amore ed è soggetto della ricerca della bellezza e dell'amore, svolge le mansioni dell'amante e non dell'amato.
Chiaramente, se ricerca la bellezza, significa che non la possiede: Eros è privo e bisognoso del sapere (penìa=povertà), ma ha anche le capacità di cercarsi e di procurarsi ciò di cui è privo (pòros=astuzia, espediente); dato che Eros è privo di bellezza e le cose buone sono belle, manca anche di bontà.
Eros non è un Dio e non è un essere umano. È in una posizione intermedia.
Fuor di metafora: chi si trova nella posizione più bassa (nella scala dell'eros) non prova nemmeno ad elevarsi; chi si trova in quella più alta non si impegna perché è già nella posizione ottimale
→chi si trova in una zona intermedia si impegna e desidera migliorarsi. [Questi ultimi sono i filosofi, che non possiedono la sapienza, ma si sforzano di raggiungerla].

Eros non è immortale ma nemmeno un mortale. Dunque è qualcosa che nasce e muore di continuo→ non si può mai possedere totalmente l'amore.

Simposio: alcune considerazioni
Eros è ricerca della bellezza che rende fisicamente e spiritualmente fecondi. E' aspirazione a raggiungere l'ideale che ci sfugge sempre.
Quindi tra amore e filosofia c'è un legame profondo: Eros è filosofo, un essere semidivino che ricerca l'amore (e la sapienza) senza riuscire mai a possederlo pienamente.
L’eros è ricerca dell'intero.
L'eros è la passione di tutta l'anima che cerca il sapere e la bellezza.

** *** **

Nel dialogo vi è una scena in cui, durante il banchetto, irrompe improvvisamente il giovane e aitante Alcibiade, totalmente ubriaco come quasi tutti. Racconta pubblicamente di aver fatto delle "avances" a Socrate, che però non ha accettato.
→ Socrate non è un asceta, ma non si lascia nemmeno trasportare dall’alcol. Si distingue dagli altri perché mantiene sempre la sua capacità di giudizio (è l’unico a non addormentarsi)
→ Evidentemente la bellezza esteriore conta meno di quella interiore
→ Evidentemente c’è una scala gerarchica dell'amore.


REPUBBLICA
(o Politèia)

La Repubblica è uno dei dialoghi più importanti. Vi si affrontano quasi tutti i temi tipici platonici, ma tutto ruota intorno alla domanda su che cos'è la giustizia.

La si analizza prima nella società e poi nel singolo individuo. Non solo l'individuo aspira alla perfezione del mondo intelligibile, ma anche la polis, la collettività deve cercare di conformarvisi il più possibile.

Nel VII Libro si trova il Mito della Caverna

La città ideale (Kallipolis), retta dalla giustizia intesa come armonia tra le tre classi (lavoratori, guardiani, filosofi).
Utopia in cui i filosofi sono la guida politica.

Analisi delle costituzioni vigenti con i loro difetti.

Nel X e ultimo libro si trova il Mito di Er. Il giudizio delle anime. La nostra vita, in parte, la scegliamo noi



Repubblica: il mito delle stirpi metalliche e lo Stato ideale

I guardiani vanno educati al coraggio e alla temperanza.
Bisogna bandire poesie e miti che presentino situazioni di paura, viltà e di sconvenienza.
Importanza della musica (ma solo lo stile dorico) e dell’armonia.
In generale si deve educare all’amore della bellezza.
La ginnastica deve sviluppare la forza fisica ma soprattutto la forza morale.

Quando si parla dei criteri di scelta dei guardiani, Socrate narra il mito della nascita degli uomini dalla terra e della loro distinzione naturale in tre classi: filosofi (oro), guardiani (argento) e lavoratori (bronzo e ferro). E' il mito delle stirpi metalliche.
I guardiani vanno esclusi dalla proprietà privata e fanno vita in comune.
Il mito viene raccontato così:
“Il dio, quando vi ha plasmato, nella generazione di quelli tra voi che sono capaci di esercitare il potere ha mescolato dell'oro, perciò sono i più pregevoli; in quella delle guardie, argento; ferro e bronzo nei contadini e negli altri artigiani.
In quanto dunque siete tutti congeneri, per lo più genererete una discendenza simile a voi, tuttavia può accadere che dall'oro nasca prole d'argento e dall'argento d'oro, e così via secondo tutte le possibilità.
Perciò a coloro che detengono il potere il Dio ordina in primo luogo e soprattutto che di nulla siano così buoni guardiani e di nulla abbiano una cura più attenta come dei loro figli, per vedere quale di questi metalli sia mescolato nella loro anima”.




Lo Stato ideale
Lo Stato ideale mira al benessere e alla felicità della collettività, non di una singola classe. Questo capita solo quando c’è giustizia.

Alla giustizia sono connesse tre virtù: sapienza, coraggio, temperanza. La sapienza è la virtù dei governanti, il coraggio è la virtù dei guardiani e la temperanza deve essere di tutte e tre le classi.

Giustizia è assolvere il proprio compito all’interno della città senza scambi tra le classi.

Socrate poi dimostra che la giustizia nello Stato è la stessa che nell’individuo poiché la struttura dell’anima è uguale a quella della città. Infatti tre sono le facoltà dell’anima: razionale, impulsiva (o irascibile) e concupiscibile.
L’uomo è giusto quando la facoltà razionale, sostenuta da quella impulsiva, comanda su quella concupiscibile. [cfr. mito della biga alata nel Fedro]

Ma cos'è il Bene?
Il filosofo deve governare perché è il solo a conoscere il Bene, l’essere e la verità e poi è sincero, temperante, disprezza i beni mondani, possiede l’armonia interiore.
A volte l’ambiente può corrompere il filosofo, soprattutto se vuole compiacere il volgo e se segue i sofisti. Solo la città ideale che sta delineando Socrate consente ai filosofi di governare bene.
Si pone il tema dell’educazione dei filosofi: essa deve mirare alla disciplina più alta avente come oggetto il bene.
Occorre definire l’idea del Bene e si propone l’analogia con il Sole: come il Sole, pur dando vita e nutrimento agli oggetti sensibili, non si identifica con essi, così il Bene permette la visione del mondo intelligibile e lo trascende.
L’analisi prosegue con l’immagine della linea divisa in quattro segmenti cui corrispondono i gradi di conoscenza: immagini, oggetti sensibili, concetti, intuizioni
Per spiegare meglio la complessità dell'immagine della linea, viene narrato il mito della caverna

Repubblica: il mito della caverna

Abbiamo già trattato questo mito nella lezione precedente. Ora ne definiamo alcuni significati particolari.

La caverna oscura = il nostro mondo di tutti i giorni.

Gli schiavi incatenati = gli esseri umani nel mondo.

Le catene = l'ignoranza e le passioni che ci inchiodano a questa vita.

Le ombre delle statuette = l'immagine superficiale delle cose, corrispondente al grado gnoseologico dell'immaginazione.

Le statuette = le cose del mondo sensibile corrispondenti al grado della credenza.

Il fuoco = l’uso dell’intelletto / i principi fisici con cui i primi filosofi spiegarono le cose.

La liberazione dello schiavo = l'azione della conoscenza e della filosofia.

Il mondo fuori della caverna = le idee.

Le immagini delle cose riflesse nell'acqua = le idee matematiche che preparano alla filosofia.

Il Sole = l'idea del Bene che tutto rende possibile e conoscibile.

La contemplazione assorta delle cose e del Sole = la filosofia al livello di comprensione intuitiva.

L’ex schiavo che vorrebbe starsene “sempre là” = la tentazione del filosofo di chiudersi in una torre d'avorio.

L’ex schiavo che ritorna nella caverna = il dovere del filosofo di far partecipi gli altri delle proprie conoscenze.

L'ex schiavo che non riesce più a vedere le ombre = il filosofo che per essersi troppo concentrato sulle idee si è disabituato alle cose.

L’ex schiavo deriso = la sorte dell'uomo di pensiero: viene scambiato per pazzo da coloro che sono attaccati ai pregiudizi e ai modi di vita volgari.

I grandi onori attribuiti a coloro che sanno vedere le ombre = il premio offerto dalla società ai falsi sapienti.

L'uccisione dell’ex schiavo = Il rischio del filosofo, che parla di verità a chi non vuole/sa ascoltare. Socrate e la cicuta.

Repubblica: l'arte come imitazione di imitazione

La discussione torna sulla poesia e l’imitazione.

Distinzione tra Idee, oggetti sensibili e oggetti dell’arte.

Poeti e pittori imitano la realtà come appare, cioè gli oggetti sensibili e quindi essi sono tre gradi lontani dalla vera realtà delle Idee.
→ L’arte è imitazione di imitazione (mìmesis mimèseos).

Omero e, in generale, la poesia vanno banditi dallo Stato ideale. L'arte va bandita fino a quando non riesca a dimostrare la sua utilità per lo Stato.

Platone ha una concezione negativa dell'arte: essa è una "copia" (mìmesi) del mondo sensibile, il quale a sua volta è una "copia" del mondo delle Idee. Perciò l'arte è una “copia della copia della verità” (mìmesis mimèseos). L’arte è corruttrice (spinge lo spirito umano verso le cose del mondo e lo allontana dalla Idee). Va bandita dallo Stato ideale.

[Tutta l'arte va bandita? E i suoi dialoghi non sono arte? Quale arte va bandita? Ricordiamo che Platone ce l’aveva con i miti che fanno vedere gli Dèi con risibili passioni umane...]

Repubblica: il mito di Er
Si accenna poi alle ricompense dopo la morte assegnate alla virtù e Socrate approfitta per dimostrare l’immortalità dell’anima che si può contemplare nella sua purezza e perfezione solo dopo il distacco dal corpo.
Solo il giusto è felice, da vivo e dopo morto.

Ed ecco il mito di Er (suddiviso in tre fasi):
1. Il giudizio dei morti
Una volta uscita dal corpo, l’anima di Er si mette in cammino con molte altre. Giunge in un luogo daimonion (meraviglioso, divino): due coppie di voragini contigue, una in cielo e l'altra in terra, e in mezzo siedono i giudici delle anime. Questi, pronunciato il giudizio, pongono i segni della sentenza e ordinano ai giusti di salire a destra e in alto e agli ingiusti di scendere a sinistra in basso. Quando Er si presenta i giudici gli ingiungono di ascoltare e guardare per poterlo raccontare.
Dalla voragine celeste a sinistra e dalla voragine terrestre a destra uscivano altre anime, le une pure e le altre sporche e impolverate, reduci da un viaggio di mille anni in cielo o sottoterra.
Il viaggio sotterraneo era un viaggio di espiazione, nel quale ogni ingiustizia commessa in vita veniva pagata con dolori dieci volte tanti quanti quelli provocati. Con una misura analoga le azioni giuste venivano compensate. Tutti i castighi sono temporanei, tranne quelli riservati ai tiranni.
2. Il cosmo
Dopo sette giorni di permanenza in quel luogo, le anime riemerse sono fatte camminare per quattro giorni, finché non giungono in vista di una luce simile all'arcobaleno, che tiene insieme tutta la circonferenza del cielo.
Alle estremità è sospeso il fuso di Ananke (la divinità che rappresenta la necessità o il destino ineluttabile, per il quale girano tutte le sfere).
Il fusaiolo è formato da otto vasi concentrici, messi uno dentro l'altro, e ruotanti in direzioni opposte sull'asse del fuso.
Su ogni cerchio sta una Sirena, che emette un'unica nota, e le diverse Sirene tutte insieme producono ruotando un'armonia. (Gli otto fusaioli rappresentano gli otto cieli concentrici della cosmologia antica, nell'ordine pitagorico: Stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Venere, Sole e Luna).
Il fuso gira sulle ginocchia di Ananke. Le tre Moire (o Parche) siedono in cerchio su tre troni a uguale distanza. Le Moire sono figlie di Ananke: Cloto, la filatrice, canta il presente, Lachesi, la distributrice, il passato, e Atropo, colei che non può essere dissuasa, l'avvenire.
3. La scelta di una nuova vita
Un araldo mette in fila le anime per presentarle a Lachesi. Quindi, dopo aver preso dalle ginocchia della Moira le sorti e i modelli di vita, annuncia: “Anime, che vivete solo un giorno comincia per voi un altro periodo di generazione mortale, portatrice di morte, Sarete voi a scegliere il daimon. E chi viene sorteggiato per primo scelga per primo una vita, cui sarà necessariamente congiunto. La virtù è senza padrone e ciascuno ne avrà di più o di meno a seconda che la onori o la spregi. La responsabilità è di chi sceglie; il Dio non è responsabile”.

[Saper scegliere una vita giusta -commenta Socrate- è importante per raggiungere l’eudaimonìa (felicità). Anche chi viene estratto per ultimo, essendo ampia la rosa dei paradigmi di vita, c'è possibilità di condurre una vita non cattiva, se la scelta viene fatta con senno].

Er racconta che la prima anima, che era venuta dal cielo, dopo aver praticato la virtù solo per abitudine e senza aver fatto filosofia in una politeia ordinata, si precipita a scegliere la vita di un tiranno.
Le anime che venivano dalla terra, invece, facevano scelte più avvedute, perché avevano imparato dall'esperienza.
La maggioranza sceglieva secondo le abitudini della vita precedente: Agamennone scelse la vita di un'aquila e Odisseo (Ulisse), ultimo a scegliere, stanco di avventure, scelse la vita tranquilla di un privato.
Una volta scelto il daimon, questo guida l'anima da Cloto, a confermare sotto il giro del fuso il suo destino, e poi da Atropo a renderlo inalterabile, e quindi, dal trono di Ananke, verso la pianura del Lete, afosa e senza alberi.
Alla fine della giornata le anime si accampano sulla riva del fiume Amelete, la cui acqua non può essere contenuta da nessun vaso.
Tutti -tranne Er- vengono obbligati a bere quell'acqua, che fa dimenticare. I meno saggi ne bevono di più. Poi le anime si addormentano e, a mezzanotte, con un terremoto, vengono lanciate nell'avventura del nascere.
Er, che non ha bevuto l'acqua del Lete, si sveglia sulla pira funeraria, con la memoria integra e racconta ai vivi ciò che ha visto.

Repubblica: uno schema esplicativo




FEDRO

Il luogo sopraceleste nessuno dei poeti di quaggiù lo cantò mai né mai lo canterà in modo degno.

Vi si tratta soprattutto dell'eros e dell'ascesa dell'anima verso il mondo intelligibile ma molti temi vi si intrecciano:
- Difesa dell'oralità contro la scrittura (mito di Teuth)
- L'anima umana (mito della biga alata)
- L'amore come via alogica all'Iperuranio (è in questo dialogo che il mondo delle idee viene chiamato così). Importanza della bellezza
- L’altra via per accedere al mondo delle Idee, liberandosi della prigione del corpo, è la filosofia, che tende alla verità
- I gradi dell'eros, cioè la scala gerarchica che, dall'amore fisico, arriva alla contemplazione del mondo delle Idee [Cfr. anche il Simposio]
- La retorica: non si deve distaccare dalla verità e si attua attraverso un procedimento di analisi e sintesi

→In generale emerge il concetto che l'amore è una forza e una via alogica alla conoscenza dell’assoluto.

In noi c'è il desiderio (eros) mai soddisfatto di raggiungere la perfezione (a tutti i livelli) del mondo delle idee. Siamo "imparentati" con esso: la nostra più vera essenza è l'anima, che è spirituale e immortale come le Idee.
Abbiamo già visto che il desiderio (eros), che spinge l'anima a risalire verso il mondo intelligibile, è visto miticamente come figlio della Povertà (nasce dalla mancanza di ciò a cui aspira) e della Ricchezza (c'è una certa partecipazione a ciò che si desidera).
Eros è dunque il simbolo della filosofia.

C’è una scalata erotica da compiere.
La bellezza ci guida piano piano ad ascendere i gradi dell’eros (dalla bellezza dei corpi, alla bellezza dell’anima, fino alla contemplazione della bellezza in sé.
→ L’amore platonico non disprezza l’amore carnale, primo necessario livello. L’attrazione sessuale sta all’interno di una ricerca di un’originaria unità perduta (l’anima gemella nel mito dell’Androgino), ma poi c'è un amore che ci mette in relazione più diretta con il Bene.

Fedro: il mito della biga alata
L'anima umana è come una biga alata guidata dall'auriga (parte razionale, la ragione), un cavallo bianco (parte irascibile, le passioni nobili) e un cavallo nero (parte concupiscibile, le passioni più legate al corpo).

L’auriga non può muoversi senza i cavalli ma deve comandare e far sì che i due destrieri vadano nella stessa direzione, cioè in alto verso l’Iperuranio [compito dell’auriga è dunque la metriopazia] altrimenti per lo sforzo le ali dei cavalli si potrebbero spezzare e la biga cadrebbe sulla Terra (ecco il trauma dell’incarnazione).

L’amore (definito una follia positiva) può far passare dei fluidi misteriosi tra le persone, che in tal modo riescono a guarire le ferite delle ali dei cavalli e riprendere il volo



Fedro: il racconto della scala dell'Eros o della gerarchia del bello

Quanto alla divina follia ne abbiamo distinto quattro forme, a ciascuna delle quali è preposta una divinità: Apollo per la follia profetica, Dioniso per la follia iniziatica, le Muse per la follia poetica, mentre la quarta, la più eccelsa, è sotto l'influsso di Afrodite e di Amore.

Tutte le cose belle sono belle perché partecipano della Bellezza.


Iniziando il proprio cammino dal primo gradino della bellezza sensibile, l'uomo si eleva coltivando il suo fecondo amore per i giovani e così impara a percepire in loro i segni della pura e perfetta bellezza: allora potrà dire di non essere lontano dalla meta.
Così, da soli o sotto la guida di un altro, la perfetta via dell'amore ha inizio con la bellezza sensibile ed ha per fine la contemplazione della Bellezza pura: l'uomo deve salire come su una scala.

Ecco i gradi della scala erotica:

Chi inizia il cammino che può portarlo al fine ultimo, sin da giovane deve essere attento alla bellezza fisica.

In primo luogo, se chi lo dirige sa indirizzarlo sulla giusta strada, si innamorerà di una sola persona e troverà con lei le parole per i dialoghi più belli.

Poi si accorgerà che la bellezza sensibile della persona che ama è sorella della bellezza di tutte le altre persone: se si deve ricercare la bellezza che è propria delle forme sensibili, non si può non capire che essa è una sola, identica per tutti.

Capito questo, imparerà a innamorarsi della bellezza di tutte le persone belle e a frenare il suo amore per una sola: dovrà imparare a non valutare molto questa prima forma dell'amore, a giudicarla di minor valore.

Poi, imparerà a innamorarsi della bellezza delle anime piuttosto che della bellezza sensibile: a desiderare una persona per la sua anima bella, anche se non è fisicamente attraente. Con lei nasceranno discorsi così belli che potranno elevare i giovani che li ascoltano.

E giunto a questo punto, potrà imparare a riconoscere la bellezza in quel che fanno gli uomini e nelle leggi: scoprirà che essa è sempre simile a se stessa, e così la bellezza dei corpi gli apparirà ben piccola al confronto.

Dalle azioni degli uomini, poi, sarà portato allo studio delle scienze, per coglierne la bellezza, gli occhi fissi sull'immenso spazio su cui essa domina. Cesserà allora di innamorarsi della bellezza di un solo genere, d'una sola persona o di una sola azione -una forma d'amore che lo lascia ancora schiavo- e rinuncerà così alle limitazioni che lo avviliscono e lo impoveriscono.

Orientato ormai verso l'infinito universo della bellezza, che ha imparato a contemplare, le sue parole e i suoi pensieri saranno pieni del fascino che dà l'amore per il sapere.

Finché, reso forte e grande per il cammino compiuto, giungerà al punto da fissare i suoi occhi sulla scienza stessa della bellezza perfetta.
La Bellezza non ha forme definite: non ha volto, non ha mani, non ha nulla delle immagini sensibili o delle parole. Non è una teoria astratta. Non è uno dei caratteri di qualcosa di esteriore, per esempio di un essere vivente, o della Terra o del cielo, o non importa di cos'altro. Essa apparirà all'uomo che è giunto sino a lei nella sua perfetta natura, eternamente identica a se stessa per l'unicità della sua forma.

MENONE

Tema della conoscenza (problema gnoseologico).

La mente non è tabula rasa.

Come e cosa si può conoscere?
O già si conosce una cosa oppure non la si conosce: nel primo caso non c’è nulla da imparare, nel secondo caso la conoscenza diventa impossibile perché non si può cercare non sapendo cosa cercare.

Per Platone il sapere (e la virtù) non può venire dall’esperienza, mutevole e relativa, ma la possiamo ricavare dal nostro interno, ricordando ciò che abbiamo contemplato nell’Iperuranio.

Famosissimo l’esempio di Socrate che, con la maieutica, riesce a condurre uno schiavo ignorante alla dimostrazione del teorema di Pitagora: è evidente che era innato in lui.

Quali sono dunque le vie per ricordare? Un modo è avere qualcuno che ci aiuti (Socrate per esempio), un altro, più impegnativo, è usare bene la propria esperienza.

Anche Pitagora ha fatto così: per primo si ricordò con la sua esperienza del teorema che gli viene attribuito (in realtà, quindi, lui non l'ha inventato,se lo è solo ricordato per primo).


TIMEO

Il Timeo è sicuramente l'opera più influente, almeno fino all'epoca del Rinascimento, nella storia del pensiero filosofico e teologico dell'Occidente. Rappresenta la sintesi del pensiero cosmologico greco.

E' stato interpretato dalla Chiesa in senso cristiano.

Il personaggio principale non è Socrate, ma Timeo (un pitagorico).

Platone si occupa del mondo sensibile soggetto al divenire (il mondo in cui si muove l'uomo) che finora era solo stato nominato nella sua inferiorità in quanto pallida copia del mondo delle Idee.

E' quindi un dialogo fisico, che cerca di operare una grande sintesi in una visione del mondo unitaria.
→Dal caos al cosmo.

Si riprendono i temi dei rapporti Idee-Idee e soprattutto dei rapporti Idee-cose.

Vi si espongono una cosmogonia (come è nato il mondo) e una cosmologia (come è fatto il mondo), che in qualche modo rivalutano il mondo sensibile.

Tutto ha una causa.

Vi si narra il mito del Demiurgo →Il mondo sensibile è voluto da un essere divino buono, ma di potenza non infinita.

Vediamo la cosmologia del Timeo:

Dall'Identico e dal Diverso (due idee somme), il demiurgo plasma l'universo sulla base di 4 solidi regolari (tetraedro, cubo, ottaedro, icosaedro) da cui derivano i 4 elementi (rispettivamente: fuoco, terra, aria, acqua).
A questi 4 poliedri si aggiunge il dodecaedro da cui deriva l'etere [la cosiddetta quinta essenza]. Questi 5 volumi geometrici sono la perfezione e rappresentano la forma base della materia (i primi 4) e dei cieli e della Luna (il 5°elemento).

Il demiurgo pone poi anche il ricettacolo delle cose: il luogo o spazio.

Il Demiurgo ha plasmato anche gli Dei visibili e cioè: i sette astri, con le sette orbite in moto circolare, e gli Dei della tradizione (a cui ha affidato il compito di completare la generazione della realtà visibile, plasmando ciò che perisce e che Egli non può forgiare, affidando loro, da infondere nei corpi mortali, le anime umane incorruttibili).

→ Si capisce ora anche l'importanza della stereometria nell'educazione del filosofo: infatti la steroemetria (=scienza della misurazione dei solidi) ha come scopo trovare un quadro complessivo dei rapporti tra realtà fisica, numeri e geometria.

Il Demiurgo ha creato anche il tempo che è l'immagine mobile dell'eternità (tempo come imitazione della perfezione). Non a caso ritorna sempre su se stesso [tempo ciclico come memoria dell'eternità].
Gli astri celesti con il loro moto circolare e perfetto lo rappresentano bene.

Il "grande discorso cosmologico" del Timeo descrive, in sintesi, la mirabile opera del Demiurgo che realizza il passaggio dal caos al cosmo; un'opera da cui scaturiscono l'armonia, la bellezza, l'unità e la simpatia del cosmo, la generazione e la struttura dell'anima (dell'universo e dell'uomo), il tempo, i pianeti e le stelle, gli animali e l'uomo.

sabato 5 dicembre 2015

26 novembre 2015 - Lezione 17 - Platone



PLATONE
(Atene 427 a.C – 347 a.C)

Aristolcle, detto Platone per la larghezza delle spalle (o della fronte) era di famiglia aristocratica, imparentato con Solone e Crizia.

Allievo e amico di Socrate dal 408 (prima voleva fare il poeta). Profondamente segnato dalla condanna del suo maestro per cui scrisse l'Apologia →(Diffidenza per la democrazia e preoccupazione per l'eunomia).

Abbiamo tutti i suoi Dialoghi, (anche se abbiamo probabilmente perduto gli scritti interni alla sua scuola), poi ci sono le dottrine non scritte
→ Asistematicità: non abbiamo di lui scritti rigorosi.

A differenza di Socrate, ebbe un forte interesse per l'impegno politico diretto
→ Il bene + la giustizia!

La sua è un'epoca di grandi trasformazioni (per Platone gli antagonismi sociali sono un grave pericolo per la polis).

La filosofia, che nasce dalla meraviglia (thaumàzein), è ricerca perenne, critica mai soddisfatta. Però di Platone è spesso stata data un'immagine statica


[Si è detto: "Philosophical tradition consists of a series of footnotes to Plato"]

Per approfondire la trattazione di Platone, puoi cliccare sulle lezioni degli scorsi marzo e aprile, a partire da qui: Platone



Socrate e Platone

Nemico comune è il relativismo dei sofisti.

Per Socrate la verità è insita in ogni uomo. Con la maieutica è possibile partorirla. L'uomo è la sua psychè. Non ha scritto nulla ed è vissuto sempre in città.
Platone invece scrive dialoghi e, probabilmente, ama la vita lontano dalla città, nella natura. Ma soprattutto si domanda: come è possibile che l'uomo abbia in sé la verità? Da dove viene la stabilità della verità? Come è possibile che le anime siano gravide della verità? Come può esserci verità oggettività se viene da soggetti diversi? Come si può dire *buono* in modo permanente se è riferito a cose diverse?





387 a.C: l'Accademia

Dopo il 399 Platone andò via da Atene, viaggiò e poi si fermò a Siracusa (da Dione, cognato del tiranno Dionisio I). Finì venduto come schiavo. Riscattato da un amico pitagorico, ebbe anche dei soldi con cui comprò un terreno vicino a Atene accanto ad un boschetto dedicato all'eroe Academo e vi fondò, nel 387, una scuola: l'Accademia che fu un'istituzione "religiosa" e un centro di studi. (Forse Platone pensava che avrebbe influito più con l'insegnamento che non con un impegno politico diretto).
Platone vi insegnò dai 40 agli 81 anni.
Doveva essere una palestra per futuri uomini di Stato e comunque per orientare la vita.

L'Accademia rimase aperta per 9 secoli. Fu chiusa nel 529 d.C. da Giustiniano in quanto istituzione culturale pagana


IL MITO
Un'immagine vale mille parole e un'analogia mille argomentazioni

Nei dialoghi, già di per sé una forma scritta particolare, agile e divulgativa (ricordiamo che Socrate, il suo maestro, era contrario alla scrittura!), ci sono spesso dei miti
Perché?
1. alleggeriscono
2. chiarificano, fanno didattica e sono persuasivi
3. sostengono in modo alogico (intuitivo) il raggiungimento della verità cui la ragione filosofica non riesce ancora ad arrivare direttamente

→ Quindi sono miti filosofici.

In generale, invece, i miti tradizionali e le forme artistiche che li narrano (Dèi con discutibili caratteristiche umane, vizi e passioni) sono condannati da Platone



Seconda navigazione: la nascita della metafisica

Se gli uomini non avessero valori universali e condivisi, non potrebbero comunicare e costruire la società.
Se non avessero criteri stabili, non potrebbero nemmeno conoscere e giudicare la realtà.

→ Una realtà immutabile e perfetta deve esistere, altrimenti non si spiegherebbe come mai gli uomini abbiano dentro di loro l’idea della perfezione (o della giustizia, ecc.) visto che nel nostro mondo sensibile la perfezione non esiste.
In base a che si può dire che una cosa è più o meno bella (giusta, grande, simile, ecc.)?

→Esistono paradigmi universali, immutabili e perfetti.
Esistono indipendentemente dalla nostra mente: sono entità immateriali del tutto separate dal mondo sensibile →soprasensibile →metafisica
Solo la mente (non i sensi) può cogliere queste essenze →sono enti intelligibili

[Nel linguaggio dei marinai la seconda navigazione era quella che, una volta venuto a mancare il vento, prevedeva l’uso dei remi. (→La prima navigazione era quella dei naturalisti)]



Il mondo delle Idee: l'Iperuranio

Iperuranio = al di là del cielo

L'intelletto, elevandosi al di sopra degli aspetti particolari degli oggetti, riesce a coglierne l'essenza, l'idea

IDEA (èidos) non è contenuto della mente, è l’essenza reale e intelligibile delle cose.

Sinonimi di idea: paradigma, archetipo, universale, essenza, in sé e per sé, forma, modello, aspetto, prototipo, “concetto”, causa, criterio, stampo, sostanza

Aggettivi per idea: reale, soprasensibile immateriale, innata, perfetta, immutabile, universale, eterna, comune, generale, intelligibile, necessaria, vera, pura



Il Bene in sé – L'Uno
C'è una gerarchia nelI'Iperuranio. Al vertice c'è l'Idea del Bene o Uno: causa universale di tutto ciò che è buono e bello.
Indefinibile razionalmente: è l'armonia e la ragion d'essere di tutto.
È il Sole, che illumina senza poter essere visto. Incomunicabile a parole. Attingibile solo con intuizione.

Platone parlava poi di Diade, principio (indeterminato) della molteplicità che, opponendosi all'Uno (determinante), dà origine all'universo. (E’ la luce del Sole? E’ la sovrabbondanza di bene che emana dal bene in sé? E’ il pensarsi? E’ ciò che non è uno? E' la vera origine di tutto?)


Come conosciamo?

Conosciamo attraverso le idee. Ma come conosciamo le idee?

Negli esseri umani alberga una memoria (reminiscenza o anamnesi) delle idee. Le abbiamo viste nei periodi di distacco dal corpo e di contemplazione del mondo intelligibile. Abbiamo un’anima che è stata nel mondo delle Idee e si reincarna → Dunque conoscere è ricordare.

C’è una scala nella conoscenza. Dai due gradi inferiori (doxa) si risale ai due gradi superiori (epistème) del sapere:
-eikasìa (immaginazione, superstizione)
-pìstis (credenza, opinione ragionata)
-diànoia (conoscenza dei rapporti matematici)
-noèsis (conoscenza dialettica delle Idee)

C'è anche un quinto livello? Potrebbe essere l’intuizione alogica e diretta del Bene in sé (contemplare misticamente il Sole accecante, che illumina le idee e il mondo)

Questi quattro (o cinque) livelli sono esemplificati attraverso il racconto del mito della caverna (v. sotto)

Si potrebbe dire: Platone = Socrate (la verità è in noi) + Pitagora (metempsicosi e contemplazione dell’Uno)



Il demiurgo e la cosmologia

Problema: come è possibile che dal mondo delle Idee (intellegibili) nasca il mondo delle cose (sensibili), che è quello nel quale noi viviamo?

La risposta mitologica di Platone è la seguente: esiste un Demiurgo (artigiano).
E’ un Dio artefice, ma non creatore (e non personale) come il Dio cristiano, perché il Dio cristiano ha creato il mondo dal nulla, e quindi ha creato anche la materia, mentre invece il Demiurgo trova già esistenti le Idee e la materia (chora).

Il Demiurgo, prendendo a modello le Idee, che sono delle "forme", plasma la materia. Riesce a modellare il mondo con un equilibrio tra intelligenza (libertà) e necessità.

Egli crea anche il tempo, immagine mobile dell’eternità. Il tempo è la dislocazione in successione della gerarchia ordinata di enti, che nel mondo ideale esiste contemporaneamente in un presente eterno.

Perché il Demiurgo ha voluto generare il mondo sensibile? Platone risponde: per "bontà" e amore di bene (il Bene in sé è il modello).
Perciò, per farlo più perfetto possibile (anche se sempre imperfetto, rispetto alle Idee), lo ha dotato anche di un'anima (l'anima del mondo), una sorta di principio vivificatore, a somiglianza dell'anima umana.




PLATONE RACCONTA (e inventa) MITI










Il mito della caverna

In una caverna ci sono dei prigionieri, incatenati fin dall'infanzia nelle sue profondità. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possono solo fissare il muro dinanzi a loro.

Alle spalle dei prigionieri è stato acceso un enorme fuoco.
Tra il fuoco e i prigionieri corre una strada rialzata. Lungo questa strada è stato eretto un muricciolo, lungo il quale alcuni uomini portano forme di vari oggetti, animali, piante e persone.
Le forme proiettano la propria ombra sul muro e questo attrae l'attenzione dei prigionieri. Se qualcuno degli uomini che trasportano queste forme parla, si forma nella caverna un'eco che spinge i prigionieri a pensare che questa voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro.

Un prigioniero si libera dalle catene!
Gli resta difficile camminare e perfino rimanere in piedi. Va verso l'uscita della caverna: i suoi occhi restano abbagliati dalla luce e prova dolore.
Nel cammino, vede le forme portate dagli uomini lungo il muretto. Gli sembrano meno reali delle ombre alle quali è abituato. Soffre nel fissare il fuoco, preferisce ancora volgersi verso le ombre.
Dopo molti sforzi, esce dalla caverna. Viene esposto alla diretta luce del Sole. Rimane quasi accecato e non riesce a vedere alcunché. Il prigioniero si trova a disagio, si irrita per essere uscito dal luogo cui era abituato.

Piano piano, il prigioniero riesce a distinguere le ombre delle persone e delle cose naturali, grazie alle loro immagini riflesse nell'acqua. Con il passare del tempo può sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi.
In seguito, di notte, volge lo sguardo al cielo, ammirando i corpi celesti con maggior facilità che di giorno.
Infine, il prigioniero è capace di vedere, per brevi attimi, il Sole stesso. Ora sa che il Sole emana la luce che rende tutto visibile con chiarezza.
Capisce anche che è il Sole a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e suoi compagni vedevano.

Resosi conto della situazione, egli decide di tornare nella caverna e liberare i suoi compagni, essendo felice del cambiamento e provando per loro un senso di pietà.
Il problema, però, è convincere gli altri prigionieri ad essere liberati. Infatti, deve riabituare gli occhi all'ombra. Passa del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente di nuovo nel fondo della caverna. Durante questo periodo è oggetto di riso da parte dei prigionieri: è tornato dall'ascesa con gli occhi rovinati!
Inoltre, questa sua temporanea inabilità influisce negativamente sulla sua opera di convincimento e, anzi, spinge gli altri prigionieri ad insultarlo, denigrarlo.

Un bel giorno lo uccidono.



Immagina…

… La situazione dell'uomo, prigioniero nella caverna; (vede solo ombre)

… La liberazione dalle catene all'interno della caverna; (vede la distinzione tra ombre e cose)

… L’uscita dalla caverna verso la luce del Sole; (si abitua alla luce, vede la natura al di là delle cose che erano nella caverna)

… La comprensione che c’è il Sole (il bene in sé, l’Uno)

… Il rientro dell'uomo nella caverna (da liberato a liberatore, con il rischio di morire, nell’anima e nel corpo)


Significati generali del mito della caverna

1. ONTOLOGICO (essere). Ci sono due livelli di realtà, una sensibile e un’altra soprasensibile.

2. GNOSEOLOGICO (verità). Ci sono due livelli di conoscenza, una è l’opinione ingannevole, l’altra è la scienza, che è vera conoscenza

3. ASSIOLOGICO (valore, morale). Il nostro comportamento e i nostri giudizi morali dipendono da criteri che implicano il riferimento a una perfezione assoluta non riscontrabile nel mondo sensibile.

4. POLITICO (etica, dovere verso la collettività). Il filosofo che pure vorrebbe fermarsi a contemplare la bellezza del mondo ideale ha il dovere di aiutare la collettività. Non si può prescindere dal contesto in cui si vive. L’uomo è uomo in una città.

5. PEDAGOGICO (è il percorso educativo dell’Accademia). L’educazione è un percorso di graduale avvicinamento teorico-pratico alla verità. Conversione alla vita filosofica

6. MISTICO – RELIGIOSO (contemplazione intuitiva del Bene in sé). Il Sole non si può guardare direttamente. Occorre un occhio interiore che intuisca l’Uno. Serve la conversione dello sguardo verso l’idea del Bene.


Il mito di Er

In una grandiosa rappresentazione dell’universo governato da un’armonia perfetta si narra di come Er, il soldato, veda che l'anima è immortale, i giusti verranno premiati, gli ingiusti puniti.

Abbiamo la possibilità di partecipare alla scelta della nostra vita.

[Er è una figura inventata da Platone per l'elaborazione di uno dei suoi miti: protagonista è un soldato della Panfilia caduto in battaglia, di nome appunto Er, che viene resuscitato mentre il suo corpo sta per essere bruciato sulla pira e racconta ciò che ha visto].


Il mito di Theuth

Theuth, l'ingegnosa divinità egizia, si recò presso re Thamus, allora sovrano dell'Egitto, per sottoporgli le proprie invenzioni, consigliandogli di diffonderle presso il suo popolo, che ne avrebbe tratto grande giovamento.

Quando Theuth propose a Thamus l'arte della scrittura (“Questa conoscenza, o re, renderà gli egiziani più sapienti e più capaci di ricordare, perché con essa si è ritrovato il farmaco della memoria e della sapienza”), il saggio Re rispose: “O ingegnosissimo Theuth, c'è chi è capace di creare le arti e chi, invece, è capace di giudicare quale danno o quale vantaggio ne ricaveranno coloro che le adopereranno. Ora tu, essendo padre della scrittura, per affetto hai detto proprio il contrario di quello che essa vale. Infatti, la scoperta della scrittura avrà per effetto di produrre la dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perché fidandosi della scrittura si abitueranno a ricordare dal di fuori, mediante segni estranei, e non dal di dentro e da se medesimi: dunque, tu hai trovato non il farmaco della memoria, ma del richiamare alla memoria. Della sapienza, poi, tu procuri ai tuoi discepoli l'apparenza e non la verità: infatti essi, divenendo per mezzo tuo uditori di molte cose senza insegnamento, crederanno di essere conoscitori di molte cose, mentre come accade per lo più, in realtà, non le sapranno; e sarà ben difficile discorrere con essi, perché sono diventati portatori di opinioni invece che sapienti.”



Il mito del Demiurgo 

Il Demiurgo ha plasmato (non creato) la materia preesistente (la chora) infondendovi il massimo grado possibile di somiglianza al mondo intelligibile delle Idee.

Il Demiurgo è limitato dalle idee (deve imitarle) e dalla materia (oppone resistenza).

Platone aveva bisogno di un principio unitario in grado di giustificare e superare la rigida distinzione (dualismo) tra Idee e cose.
Il divino artigiano cui viene dato il nome di Demiurgo è il mediatore tra il mondo delle idee e la materia.

Il Demiurgo è l'intelligenza che progetta il mondo, avendo le idee a modello e la materia (o chora) come strumento.

Il mondo sensibile, soggetto al divenire e generato, deve necessariamente discendere da un principio, giacché non vi è generazione senza una causa. Il Demiurgo, essendo legato imprescindibilmente all'idea di Bene, non può che creare il migliore dei mondi possibili.


Il Demiurgo ha plasmato anche gli Dei visibili e cioè: i sette astri, con le sette orbite in moto circolare, e gli Dei della tradizione (a cui ha affidato il compito di completare la generazione della realtà visibile, plasmando ciò che perisce e che Egli non può forgiare, affidando loro, da infondere nei corpi mortali, le anime umane incorruttibili).

Il Demiurgo ha creato anche il tempo che è l'immagine (o imitazione) mobile dell'eternità. Non a caso ritorna sempre su se stesso [tempo ciclico]. Gli astri celesti con il loro moto circolare e perfetto lo rappresentano bene.

Dal mito del Demiurgo discende anche il mito dell'Anima del mondo: il mondo delle Idee è animato, movimentato, intelligente, vitale. Dunque il mondo sensibile, nella misura in cui il Demiurgo lo plasma a immagine delle Idee, non può che essere simile a quello intellegibile
L'Universo è un grande essere vivente e ha dunque un'anima sua.
Platone paragona il mondo sensibile a un animale vivente, anzi a una sorta di "dio visibile", in quanto plasmato dal Demiurgo; di questo dio visibile il corpo è il mondo e l'anima è estesa a tutto il mondo.

C'è un richiamo ai pitagorici: l’anima permea il mondo e lo contiene secondo proporzioni e intervalli numerici di una scala musicale. Di qui anche il concetto di simpatia universale, sviluppato soprattutto dal neoplatonismo rinascimentale.

Il "grande discorso cosmologico" del Timeo (il dialogo in cui è narrato il mito del Demiurgo) descrive, in sintesi, la mirabile opera del Demiurgo che realizza il passaggio dal caos al cosmo; un'opera da cui scaturiscono l'armonia, la bellezza, l'unità e la simpatia (=comune sentire, corrispondenza) del cosmo, la generazione e la struttura dell'anima (dell'universo e dell'uomo), il tempo, i pianeti e le stelle, gli animali e l'uomo.


Agrafa dogmata: le dottrine non scritte (ἄγραϕα δόγματα)

Platone non ha volutamente lasciato scritta la parte più importante della sua filosofia.

Su queste cose non c'è un mio scritto né ci sarà mai. In effetti la conoscenza della verità non è affatto comunicabile come le altre conoscenze, ma, dopo molte discussioni fatte su questi temi, e dopo una comunanza di vita, improvvisamente, come luce che si accende dallo scoccare di una scintilla, essa nasce dall'anima e da se stessa si alimenta.
(Platone, dalla Lettera VII)

Da testimonianze si è capito che le sue dottrine non scritte parlavano soprattutto dell'Uno e della Diade.
Tale concezione, di tipo pitagorico, intende l'Uno (il «Bene in sé» dei dialoghi) come tutto ciò che è unitario e positivo, mentre la Diade, ovvero il mondo delle differenze e della molteplicità, genera il disordine. Ma potrebbe anche essere che alla Diade spetti il primato.

Le Idee "procedono" da quei due Principi (Uno-Diade) partecipando dell'unità e distinguendosene per difetto o per eccesso; le stesse Idee quindi entrerebbero in relazione con la materia e genererebbero gli enti sensibili, che partecipano dell'Idea corrispondente e se ne differenziano secondo la Diade, sempre per eccesso o per difetto.
Ne consegue che le stesse Idee sarebbero "generate", forse ab aeterno.
Il bene, poi, nel mondo sensibile, dove non può esservi unità, ma solo molteplicità, consiste nell'armonia delle parti.

sabato 21 novembre 2015

12 novembre 2015 - La discussione post lezione 16

Dopo la lezione sui Sofisti e su Socrate, abbiamo letto il passo finale del Fedone di Platone, in cui vengono descritti gli ultimi momenti di vita di Socrate, in particolare quando, arrivato il momento di bere la cicuta, il filosofo dimostra tutto il suo coraggio e, anche in quel momento, la sua saggezza

Ecco il testo:

E Critone, allora, fece cenno a un suo servo che se ne stava in disparte. Questi uscì e dopo un po' tornò con l'uomo che, in una ciotola, portava già tritato il veleno che doveva somministrargli.
«Tu, brav'uomo, che sei pratico di queste cose,» disse Socrate vedendolo, «cos'è, allora, che bisogna fare?»
«Nient'altro che bere e poi passeggiare un po' per la stanza finché non ti senti le gambe pesanti; poi ti metti disteso e così farà il suo effetto.»
Così dicendo porse la ciotola a Socrate. La prese, Echecrate, con tutta la sua serenità, senza alcun tremito, senza minimamente alterare colore o espressione del volto, ma guardando quell'uomo, di sotto in sù, con quei suoi occhi grandi di toro. «Che ne dici di questa bevanda, se ne può fare o no libagione a qualcuno? È permesso?»
«Socrate, noi ne tritiamo giusta la quantità che serve.»
«Capisco, ma pregare gli dei che il trapasso da qui all'al di là, avvenga felicemente, questo mi pare sia lecito; questo io voglio fare e così sia.»
Così dicendo, tutto d'un fiato, vuotò tranquillamente la ciotola.
Molti di noi che fino allora, alla meglio, erano riusciti a trattenere le lacrime, quando lo videro bere, quando videro che egli aveva bevuto, non ce la fecero più; anche a me le lacrime, malgrado mi sforzassi, sgorgarono copiose e nascosi il volto nel mantello e piansi me stesso, oh, piansi non per lui ma per me, per la mia sventura, di tanto amico sarei rimasto privo. Critone, poi, ancora prima di me, non riusciva a dominarsi e s'era alzato per uscire. Apollodoro, poi, che fin dal principio non aveva fatto che piangere, scoppiò in tali singhiozzi e in tali lamenti che tutti noi presenti ci sentimmo spezzare il cuore, tranne uno solo, Socrate, anzi: «Ma che state facendo?» esclamò. «Siete straordinari. E io che ho mandato via le donne perché non mi facessero scene simili; a quanto ho sentito dire, bisognerebbe morire tra parole di buon augurio. State calmi, via, e siate forti.»
E noi, provammo un senso di vergogna a sentirlo parlare così e trattenemmo il pianto. Egli, allora, andò un po' su e giù per la stanza, poi disse che si sentiva le gambe farsi pesanti e cosi si stese supino come gli aveva detto l'uomo del veleno il quale, intanto, toccandolo dì quando in quando, gli esaminava le gambe e i piedi'e a un tratto, premette forte un piede chiedendogli se gli facesse male. Rispose di no. Dopo un po' gli toccò le gambe, giù in basso e poi, risalendo man mano, sempre più in su, facendoci vedere come si raffreddasse e si andasse irrigidendo. Poi, continuando a toccarlo: «Quando gli giungerà al cuore,» disse, «allora, sarà finita.»
Egli era già freddo, fino all'addome, quando si sco-. prì (s'era, infatti, coperto) e queste furono le sue ultime parole: «Critone, dobbiamo un gallo ad Asclepio, dateglielo, non ve ne dimenticate.»
«Certo,» assicurò Critone, «ma vedi se hai qualche altra cosa da dire.»
Ma lui non rispose. Dopo un po' ebbe un sussulto. L'uomo lo scoprì : aveva gli occhi fissi.
Vedendolo, Critone gli chiuse le labbra e gli occhi.
Questa, Echecrate, la fine del nostro amico, un uomo che fu il migliore, possiamo ben dirlo, fra quanti, del suo tempo, abbiamo conosciuto e, senza paragone, il più saggio e il più giusto.


** *** **

Dopo la lettura di questo testo non c'è stata la consueta discussione, ma abbiamo provato a scegliere un concetto che emergesse da questa lettura per provare poi a darne una definizione condivisa. Il risultato, ancora da perfezionare con successivi incontri e discussioni, è al momento il seguente:

Che cos'è la coerenza?

Vincolo e valore che ciascuno dà a se stesso di essere come ciò che è stato già.

Credere nelle proprie idee e, quando la coerenza ha un costo, la capacità di pagarlo è l’indice della nostra qualità.

Il vincolo dà idea di costrizione. L’incoerenza non è sempre un male.
Ma la parola “vincolo” può andare bene, perché suggerisce “impegno”, anche se il sistema dei valori può cambiare.

La coerenza non ha necessariamente a che fare con la morale.
La coerenza è una capacità che non è un far bene o male. E’ un comportamento moralmente neutro

La coerenza non è uno stato ma un processo, che si può meglio definire con “energia”.
In termini assoluti la coerenza non è degli esseri umani. La coerenza è un seguire, ma come tendenza.
La coerenza c’è solo su singoli episodi.
La coerenza assoluta è ossessione.
Non bisogna pensare alla coerenza in termini assoluti. La coerenza è sempre nel presente, si dà sempre in questo momento ed è corrispondenza tra azione e pensiero. E il pensiero cambia nel tempo.

La coerenza lascia un segno. Tant’è che si può pensare che sia fondante l’esistenza.

La coerenza è qualcosa di pubblico, si vede fuori. La coerenza interna si definisce meglio come autenticità. C’è differenza tra autenticità e coerenza.

12 novembre 2015 - Lezione 16 - I sofisti e Socrate

L'EPOCA DEI SOFISTI E DI SOCRATE

Abbiamo brevemente ripassato i filosofi sofisti e Socrate. Per l'approfondimento andare alle pagine di questo stesso blog alle lezioni di dicembre del 2014 (a partire da qui: I sofisti: Protagora)


L'epoca dei Sofisti vede un mutamento importante in filosofia: la riflessione si sposta dalla natura (cosmologia) all'uomo (antropologia). Non più l'arché ma cosa è utile all'uomo

Età di Pericle. Epoca di vittorie militari e delle istituzioni democratiche.

Sofista significa “sapientissimo”
Erano pedagoghi e insegnanti di filosofia e retorica a pagamento. Cosmopoliti (tutti stranieri). Alcuni nomi: Antifonte (famoso tra i logografi), Lisia (il più bravo), Protagora e Gorgia (i più filosofi).

Per i sofisti la virtù (aretè) non è più quella militare e aristocratica. La virtù si fonda sul sapere globale. È’ insegnabile a tutti e serve ad avere successo nella vita pubblica della polis. (Le giurie erano formate dal popolo e non c'erano avvocati).

In generale possiamo dire che è più importante la forma del contenuto: la retorica.




I sofisti: PROTAGORA
(Abdera 486 a.C – 410 a.C.)

Due suoi famosi frammenti:
1. Sul relativismo:
L'uomo è misura [mètron] di tutte le cose

2. Sull'agnosticismo:
Riguardo agli dei, non ho la possibilità di accertare né che sono né che non sono


Se una verità oggettiva non c'è, nella polis c'è comunque il criterio della maggioranza












I sofisti: GORGIA
(Leontini 484 a.C. - Tessaglia 375 a.C)

Dal relativismo si passa al nichilismo:
L'Essere non è; se fosse non sarebbe conoscibile; se fosse conoscibile non sarebbe comunicabile

Una verità oggettiva non c'è → criterio del singolo

La parola, liberata dalla pretesa di verità, può tutto

[Un approfondimento lo trovi in questo stesso blog cliccando qui: Gorgia]








SOCRATE
(Atene 469 a.C - 399 a.C)

Conosci te stesso

So di non sapere

Figlio di uno scultore e di una levatrice, fu un uomo normale, semplice, senza desideri di potere o notorietà. Non direttamente impegnato in politica anche se di posizione aristocratica
Non ha scritto nulla.
Era bruttissimo, piccolo, tarchiato, vestiva sempre con lo stesso chitone e non si lavava → C’è un deciso cambio nella concezione della virtù! (l’ideale era “bello e buono”).
Passava il tempo nell'agorà a parlare con gli amici (alcuni lo aiutavano economicamente).

Maieutica: come la madre aiutava le donne a partorire il loro bambino, così Socrate aiutava gli uomini a partorire la loro verità. Ma Socrate è sterile (di sapienza).
La maieutica (=arte del far partorire) portava alla luce le conoscenze implicite dei suoi interlocutori.
La verità è una qualità naturale, innata (immanente) in tutti gli uomini. Basta saper usare la ragione all'interno di un dialogo. La maieutica è un invito a ragionare.

[Un approfondimento lo trovi in questo stesso blog cliccando qui: Socrate]

sabato 7 novembre 2015

29 ottobre 2015 - La discussione post lezione 15


Dopo la lezione sui primi filosofi, come spunto iniziale per la discussione, siamo partiti da una favola filosofica di Ermanno Bencivenga: Il cordino.

Ecco il testo:


Quando ero piccolo avevo un grosso problema.
Ogni tanto mi faceva male la testa o la gola, e fin qui niente di strano: non era piacevole, ma è una cosa che capita a tutti e, come si dice, mal comune…
C’era anche, però, un male che non era affatto comune; anzi, ce n’erano molti.
Succedeva per esempio che mi facessero male i pantaloni, quando la mamma li metteva in lavatrice e quella specie di ventola che c’è lì dentro li sbatteva di qua e di là.
Mi faceva male la porta se il vento la chiudeva con gran fracasso, mi faceva male il gatto se qualcuno gli tirava la coda e mi faceva male la sedia quando ci si sedeva su lo zio Pasquale, che pesa più di un quintale e a momenti la sfonda.
A un certo punto la mamma decise di portarmi dal dottore.
Era un signore alto e tutto bianco, con degli occhiali così spessi che gli occhi neanche si vedevano.
Mi fece sedere e sdraiare, mi tastò davanti e dietro, mi guardò con certi altri occhiali ancora più spessi e finalmente si schiarì la voce e cominciò a spiegare.
Tutti quanti, disse, quando veniamo al mondo ci stacchiamo dal resto delle cose.
Alcune cose rimangono nostre, come la testa e la gola, e altre cose -la maggior parte delle cose- no.
Il gatto e i pantaloni e la sedia, per esempio, non sono nostri: o meglio, sono nostri nel senso che ce li possiamo tenere e se un altro li vuole ce li deve chiedere, ma non nel senso che fanno parte di noi come la testa e la gola.
Ecco, questo è quel che capita a tutti, anzi a quasi tutti.
Per motivi che nessuno comprende, ogni tanto nasce un bambino che non si stacca dal resto delle cose.
Io ero un bambino così: un cordino invisibile ma molto resistente mi legava al gatto e alla sedia, e anche alla pastasciutta e alla Luna.
Per farmi diventare come gli altri bisognava tagliare il cordino.
Detto fatto, il dottore prese uno strumento invisibile ma molto resistente (che strumento fosse non lo so, perché non l’ho visto) e tagliò il cordino.

Da allora va tutto bene.

O forse dovrei dire: non va male.
Non mi fanno più male i pantaloni quando la mamma li mette in lavatrice, o il gatto quando qualcuno gli tira la coda, o la porta quando il vento la sbatte con gran fracasso, e tutto sommato non mi dispiace di sentir male solo alla testa o alla gola.
C’è anche qualcosa che mi dispiace, però.
Prima, quando i pantaloni uscivano dalla lavatrice e la mamma li stendeva al Sole, sentivo tutto questo caldo che mi scorreva dentro come una tazza di cioccolata d’inverno.
Poi la mamma li ritirava nell’armadio fresco e profumato di lavanda, ed era come addormentarsi nell’erba, sotto un albero, dopo un pranzo all’aperto e tante corse dietro al pallone.
Per non parlare di quando il gatto si accoccolava sulla sedia: il suo pelo morbido contro il cuoio liscio e vellutato.
O quando la mamma sfogliava un libro e senza accorgersene accarezzava le pagine.
Quelle carezze non le sento più, da quando se n’è andato il cordino.


** *** **

La lettura di questo testo ha dato vita ad una serie di domande da cui poi è partita una discussione.
Eccole in elenco:

1. E' così sbagliato avere una sensibilità alle cose? (Elisabetta)

2.  Siamo legati a quello che ci circonda? (Mauro, Giacomo)

3. C'è bisogno di un dottore? (Matteo)

4. Che cos'è la normalità? (Melissa)

5. Che cos'è la guarigione? (Carla)

6. Guarigione da cosa? (Emanuele)

7. Le cose hanno un'anima? (Tatjana)

8. Era meglio quando era peggio? (Gabriella)

9. Essere salvati dal dolore è un bene? (Mauro 2)

10. E' così doloroso/necessario crescere (Carla, Ivetta)

11. Crescere significa necessariamente perdere l'empatia o può accadere il contrario? (Deborah)

12. Il cordino rappresenta il bisogno di affetto? (Giulia)

** *** **

Dopo la lezione qualcuno ha anche composto una poesia. Eccola qua:


Difficile unione di pensieri
che contrastano e uniscono...

Dove nulla è tutto
Io vago e non arrivo
Ma torno e resto pensiero ed esisto

(E.Tomassini)