giovedì 23 aprile 2015

16 aprile 2015 - Lezione 11 - PLATONE (terza parte)



PLATONE
(Atene 427 a.C – 347 a.C) 



Terza parte























Dialoghi di Platone

Analizzeremo brevemente:

- Apologia di Socrate

- Fedone
- Simposio
- Repubblica
- Fedro
- Menone
- Timeo

Faremo un cenno anche alle dottrine non scritte





APOLOGIA (di Socrate)

Non è propriamente un dialogo: è il resoconto del processo di Socrate e della sua autodifesa, poiché accusato ingiustamente dalla democrazia ateniese.

Vi emerge il compito del filosofo: ricercare la verità e la giustizia, seguendo la ragione e non il proprio interesse, e obbedendo alla propria coscienza e al Dio.

La vita è concepita come ricerca appassionata del sapere vero e della virtù/giustizia.

Le leggi, per ingiuste che possano essere, vanno sempre e comunque rispettate, mai infrante: ci si può battere per farle cambiare, ma mai violarle.





FEDONE
(o dell'immortalità dell'anima)


E' Il dialogo della "seconda navigazione" che conduce a riconoscere l'esistenza di due piani dell'essere: uno fenomenico (e visibile) e l'altro metafisico (e intelligibile).

Il compito della filosofia è quello di liberare l'anima dal corpo

Si fonda e si giustifica il concetto di anima (che Socrate intende come consapevolezza e come vera natura dell'uomo). Dalla sua accettazione o dalla sua negazione dipende il senso che l'uomo è disposto a dare a se stesso e alla sua esistenza.
→ Immortalità dell'anima ed esistenza delle Idee sono intimamente congiunte.

Al termine del dialogo c'è il mito sul destino dell'anima: Socrate ipotizza un “paradiso”, un “purgatorio” e un “inferno”; i puri vanno in paradiso (i filosofi saranno i più premiati). Ma nessuno può giurare che le cose stiano davvero così.


Fedone: l'Iperuranio

Platone, attraverso Socrate (descritto nel carcere in attesa della cicuta), affronta l'esistenza del mondo intelligibile.

L’iperuranio è necessario:
a) ontologicamente, come perfetto, assoluto, eterno e immutabile fondamento dell'imperfetto, relativo, effimero e mutevole mondo sensibile;
b) valorialmente, come unica adeguata spiegazione dell'umano agire, inspiegabile meccanicisticamente (come puro urto di corpi), ma solo in riferimento a valori, a fini che lo motivano, "ultimamente" fondati nell'Idea.


Fedone: l'anima è immortale

Platone, sempre attraverso le parole di Socrate, dimostra anche l'immortalità dell'anima (già sostenuta da Pitagora), in base a quattro argomenti. Due di essi sono:

- l'argomento della reminiscenza. Conoscere è ricordare; non potremmo ricordare le Idee se non le avessimo viste; non le avremmo potute vedere se non in una vita distaccata dal corpo, che suppone un'anima immortale;

- l'argomento della somiglianza. L'anima è imparentata con l'intelligibile, che è immutabile, dunque lei pure deve essere immutabile, quindi incorruttibile e immortale; infatti solo ciò che è composto si può dissolvere, ciò che invece è semplice rimane sempre identico a se stesso.



SIMPOSIO
(o Convito)

Durante un simposio si affronta il tema dell'amore. Socrate spiega che l'amore non è mai a sé stante, ma necessita di un oggetto: ha perciò sempre bisogno di ciò che ama, e attualmente non lo possiede.

Aristofane narra il celebre il mito dell’Androgino.

Socrate riporta le parole della sacerdotessa Diotima e narra il mito della nascita di Eros, figlio di Pòros e Penìa.

Socrate descrive anche la scala gerarchica di ascesa verso l’amore: a)dai corpi belli, b)alla bellezza delle anime, c)poi delle leggi, della scienza, d)infine alla bellezza in sé [L'amore platonico].

La bellezza é l'idea che meglio filtra nel mondo sensibile: ad es., vedendo la persona amata, si contempla il riflesso del bello in sé e l'anima viene colta dall'amore.



Simposio: mito dell'androgino

Parla Aristofane.
Tempo fa non esistevano solo due sessi, bensì tre: c’era anche il sesso androgino, proprio di esseri che avevano in comune caratteristiche maschili e femminili.
In quel tempo, tutti gli esseri umani avevano due teste, quattro braccia, quattro mani, quattro gambe e due organi sessuali ed erano tondi. Erano autosufficienti e felici.
Per via della loro potenza, gli esseri umani, per Hybris (superbia), tentarono la scalata all'Olimpo per spodestare gli dei. Ma Zeus, che non poteva accettare un simile oltraggio, decise di intervenire: “Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi”. (Di questo taglio resta l'ombelico come promemoria).

Da questa divisione nasce negli umani il desiderio di ricreare la primitiva forza, tanto che le “parti” non fanno altro che cercare la propria metà e poi stringersi l’una all’altra. Così muoiono di fame e di torpore per non volersi più separare.

Zeus allora, per evitare l’estinzione degli uomini, manda nel mondo Eros affinché, attraverso il ricongiungimento fisico, essi possano ricostruire “fittiziamente” l’unità perduta (anima gemella), così da provare piacere (e riprodursi) e potersi poi dedicare alle altre incombenze cui devono attendere.

Siccome i sessi erano tre, due sono oggi le tipologie d'amore: il rapporto omosessuale (se le parti erano in principio entrambe maschili o femminili) e il rapporto eterosessuale (se le parti, in origine, erano una maschile e una femminile).

Dunque al desiderio e alla ricerca dell'intero si dà nome “amore”.



Simposio : mito (della nascita) di Eros

Si deve parlare d’amore: Tocca a Socrate che cede virtualmnete la parola a una donna (Diotima, sacerdotessa di Mantinea), nel senso che riporta le sue parole.

Durante i festeggiamenti divini per la nascita di Afrodite, tra le varie divinità, ci sono anche Pòros (astuzia,furbizia) e Penìa (povertà).
Essi, ormai ubriachi, si uniscono e viene così concepito Eros, che ha quindi le caratteristiche dei suoi genitori: è ignorante, povero e brutto a causa di Penìa, ma sa cavarsela sempre grazie a Pòros.
Non è bello, ma sa andare a caccia della bellezza; egli sente l'amore ed è soggetto della ricerca della bellezza e dell'amore, svolge le mansioni dell'amante e non dell'amato.
Chiaramente, se ricerca la bellezza, significa che non la possiede: Eros è privo e bisognoso del sapere (penìa=povertà), ma ha anche le capacità di cercarsi e di procurarsi ciò di cui è privo (pòros=astuzia, espediente); dato che Eros è privo di bellezza e le cose buone sono belle, manca anche di bontà.

Eros non è un Dio e non è un essere umano. È in una posizione intermedia. Fuor di metafora: chi si trova nella posizione più bassa non prova nemmeno ad elevarsi; chi si trova in quella più alta non si impegna perché è già nella posizione ottimale → chi si trova in una zona intermedia si impegna e desidera migliorarsi. [Questi ultimi sono i filosofi, che non possiedono la sapienza, ma si sforzano di raggiungerla].

Eros non è immortale ma nemmeno un mortale. Dunque è qualcosa che nasce e muore di continuo →non si può mai possedere totalmente l'amore.




Simposio: conclusioni

Eros è ricerca della bellezza che rende fisicamente e spiritualmente fecondi.
E' aspirazione a raggiungere l'ideale che ci sfugge sempre.

Quindi tra amore e filosofia c'è un legame profondo: Eros è filosofo, un essere semidivino che ricerca l'amore (e la sapienza) senza riuscire mai a possederlo pienamente.

L’eros è ricerca dell'intero. L'eros è la passione di tutta l'anima che cerca il sapere e la bellezza.

** *** **

Il dialogo termina con questa scena:

Irrompe improvvisamente il giovane e aitante Alcibiade, totalmente ubriaco come quasi tutti. Racconta pubblicamente di aver fatto delle "avances" a Socrate, che però non ha accettato.

→ Socrate non è un asceta, ma non si lascia nemmeno trasportare dall’alcol. Si distingue dagli altri perché mantiene sempre la sua capacità di giudizio (è l’unico a non addormentarsi)
→ Evidentemente la bellezza esteriore conta meno di quella interiore
→ Evidentemente c’è una scala gerarchica dell'amore.



REPUBBLICA
(o Politèia)

La Repubblica è uno dei dialoghi più importanti. Vi si affrontano quasi tutti i temi platonici, ma tutto ruota intorno alla domanda su che cos'è la giustizia.
La si analizza prima nella società e poi nel singolo individuo.
Non solo l'individuo aspira alla perfezione del mondo intelligibile, ma anche la polis, la collettività deve cercare di conformarvisi il più possibile.

Nel VII Libro si trova il Mito della Caverna

La città ideale (Kallipolis), retta dalla giustizia intesa come armonia tra le tre classi. Utopia in cui i filosofi sono la guida politica.

Analisi delle costituzioni vigenti con i loro difetti.

Nel X e ultimo libro si trova il Mito di Er. Il giudizio delle anime. La nostra vita, in parte, la scegliamo noi




Repubblica – Libro I

Prende avvio il dialogo tra Socrate e gli altri su che cos'è la giustizia.

L'ingiustizia rende gli uomini discordi tra loro e invisi agli Dei.

Ogni cosa ha una funzione e una sua virtù: la funzione e la virtù dell'anima è la giustizia.

→ Quindi solo l'anima giusta è felice









Repubblica – Libro II

Alcuni interlocutori di Socrate sostengono che l'uomo desidera commettere ingiustizia, ma se non lo fa è solo per la paura delle conseguenze (viene raccontato il mito dell'anello di Gige).

A questo punto Socrate propone di analizzare cosa sia la giustizia nell'ambito più ampio dello Stato delineando una città ideale (kallipolis).

Una classe importante in questo Stato è quella dei guardiani, che devono essere miti e animosi a seconda delle circostanze.

Problema dell’educazione dei guardiani (musicale e ginnica soprattutto).
I miti spesso sono diseducativi per come presentano gli Dei



Repubblica – Libro II: il mito dell'anello di Gige

Socrate spiega che l' uomo sceglie sempre di fare il bene e se fa il male è solo per ignoranza (errore "intellettuale", cfr intellettualismo etico), ossia compie il male convinto di fare il bene; la giustizia infatti dà un senso di felicità e di benessere a chi la compie.

Glaucone, con il mito di Gige, vuole dimostrare l'opposto: si è giusti solo per timore di essere scoperti e chi è ingiusto conduce una vita molto più felice rispetto al giusto.
Gige era un pastore alle dipendenze del re di Lidia. Dopo un nubifragio e una scossa tellurica la terra si squarciò producendo una voragine in cui trovò un cadavere con un anello d'oro. L’anello rendeva invisibili.
Gige a questo punto si fece passare per messo del re, ne sedusse la moglie e, con il suo aiuto, ammazzò il re in persona, divenendo lui stesso il detentore del potere.

→ Dunque, se c'è gente che non commette ingiustizia, non lo fa perché ama la giustizia, ma perché ha paura di essere scoperto.

Socrate replica servendosi della maieutica e della suprema idea del Bene; tracciando poi la vita dell'uomo giusto e di quello ingiusto, pare evidente che è l'uomo giusto a vivere serenamente, appagato dalla giustizia stessa e dal fatto di avere l'animo in pace.
Invece l'ingiusto prova un senso interiore che lo tormenta e non lo lascia vivere in pace, quasi come se sentisse la mancanza di giustizia.


Repubblica – Libro III

I guardiani vanno educati al coraggio e alla temperanza.

Bisogna bandire poesie e miti che presentino situazioni di paura, viltà e di sconvenienza.

Importanza della musica (dello stile dorico in particolare) e dell’armonia.

In generale si deve educare all’amore della bellezza.

La ginnastica deve sviluppare la forza fisica ma soprattutto la forza morale.

Quando si parla dei criteri di scelta dei guardiani, Socrate narra il mito della nascita degli uomini dalla terra e della loro distinzione naturale in tre classi: filosofi (oro), guardiani (argento) e lavoratori (bronzo e ferro). E' il mito delle stirpi metalliche.

I guardiani vanno esclusi dalla proprietà privata e fanno vita in comune.


Repubblica – Libro III: il mito delle stirpi metalliche

Il dio, quando vi ha plasmato, nella generazione di quelli tra voi che sono capaci di esercitare il potere ha mescolato dell'oro, perciò sono i più pregevoli; in quella delle guardie, argento; ferro e bronzo nei contadini e negli altri artigiani.
In quanto dunque siete tutti congeneri, per lo più genererete una discendenza simile a voi, tuttavia può accadere che dall'oro nasca prole d'argento e dall'argento d'oro, e così via secondo tutte le possibilità.
Perciò a coloro che detengono il potere, il Dio ordina in primo luogo e soprattutto che di nulla siano così buoni guardiani e di nulla abbiano una cura più attenta come dei loro figli, per vedere quale di questi metalli sia mescolato nella loro anima”.



Repubblica – Libro IV

Lo Stato ideale mira al benessere e alla felicità della collettività, non di una singola classe. Questo c’è quando c’è giustizia.

Alla giustizia sono connesse tre virtù: sapienza, coraggio, temperanza.
La sapienza è la virtù dei governanti, il coraggio è la virtù dei guardiani e la temperanza deve essere di tutte e tre le classi.

Giustizia è assolvere il proprio compito all’interno della città senza scambi tra le classi.

Socrate poi dimostra che la giustizia nello Stato è la stessa che nell’individuo poiché la struttura dell’anima è uguale a quella della città.
Infatti tre sono le facoltà dell’anima: razionale, impulsiva (o irascibile) e concupiscibile.
L’uomo è giusto quando la facoltà razionale, sostenuta da quella impulsiva, comanda su quella concupiscibile. [cfr. mito della biga alata nel Fedro]


Repubblica – Libro V

Identità di compiti e di educazione tra uomini e donne.
Le donne sono sì più deboli degli uomini, ma non ci sono differenze di attitudini.

Nella città ideale c’è comunanza di beni, donne e figli (per le prime due classi) → il cosiddetto “comunismo platonico”.
Matrimoni e nascite vanno regolamentati in vista di una bella prole.

La condizione di possibilità di uno stato ideale: i filosofi devono governare la città oppure i governanti devono diventare filosofi, poiché solo il filosofo ama la verità pura.

Socrate traccia infine la differenza tra ignoranza (che è mancanza di conoscenza), scienza (che è conoscenza dell’essere) e opinione (che è uno stato intermedio tra gli altri due).



Repubblica – Libro VI

Il filosofo deve governare perché è il solo a conoscere l’essere e la verità e poi è sincero, temperante, disprezza i beni mondani, possiede l’armonia interiore.

A volte l’ambiente può corrompere il filosofo, soprattutto se vuole compiacere il volgo e se segue i sofisti.
→ Solo la città ideale che sta delineando Socrate consente ai filosofi di governare bene.

Si pone il tema dell’educazione dei filosofi: essa deve mirare alla disciplina più alta avente come oggetto il Bene.

Occorre definire l’idea del Bene e si propone l’analogia con il Sole: come il Sole, pur dando vita e nutrimento agli oggetti sensibili, non si identifica con essi, così il Bene permette la visione del mondo intelligibile e lo trascende.

L’analisi prosegue con l’immagine della linea divisa in quattro segmenti cui corrispondono i gradi di conoscenza: immagini, oggetti sensibili, concetti, intuizioni.

Secondo Platone, dunque, la conoscenza si articola in 2 stadi nettamente distinti:
- opinione (DOXA, δόξα in greco) che corrisponde al mondo sensibile
- scienza (EPISTEME, ἐπιστήμη in greco), attraverso cui siamo già nel mondo soprasensibile delle Idee

L'opinione si divide, a sua volta, in:
- immaginazione (EIKASIA, in greco εἰκασία), che corrisponde all'immagine più superficiale delle cose;
- credenza (PISTIS, in greco πίστις), che corrisponde all'avere una convinzione sulle cose del mondo senza riuscirne a dare ragione, tutto ciò in cui l'uomo ripone fiducia, attribuendogli un valore di verità, senza sottoporlo all'esame critico della ragione.

La scienza si divide in:
- ragione discorsiva (DIANOIA. in greco διάνοια), che corrisponde alla conoscenza razionale e scientifica, grado in cui la ragione opera ancora distinzioni e conosce le relazioni esistenti nel mondo delle Idee: si conosce attraverso la mediazione della razionalità;
- intellezione (NOESIS, νόησις, in greco), che è la conoscenza raggiunta, sviluppata e vissuta per via puramente intuitiva e contemplativa: la filosofia che si poteva praticare, dopo un lungo apprendistato, all'interno dell'Accademia.




Repubblica – Libro VII

Per spiegare le complesse teorie del libro precedente, viene narrato il mito della caverna, allegoria del filosofo che si solleva dal sensibile alle Idee e ritorna nel mondo per governarlo.

L’educazione del filosofo ha il compito di convertire il suo sguardo verso l’idea del bene.

L’educazione comprende musica, ginnastica, matematica, geometria, astronomia, stereometria, armonia e soprattutto la dialettica, che ha come scopo la conoscenza del Bene e non è basata su ipotesi.

L’educazione dei filosofi è graduale, selettiva e dura tutta la vita. Solo dopo i 50 anni i filosofi, a turno, saranno chiamati a governare lo Stato.

Il mito della caverna narra di una conversione possibile.



Repubblica – Libro VII: il mito della caverna

Immagina...

...La situazione dell'uomo, prigioniero nella caverna; (vede solo ombre)

...La liberazione dalle catene all'interno della caverna; (vede la distinzione tra ombre e cose)

...L’uscita dalla caverna verso la luce del Sole; (si abitua alla luce, vede la natura al di là delle cose che erano nella caverna)

...La comprensione che c’è il Sole (il bene in sé, l’Uno)

...Il rientro dell'uomo nella caverna (da liberato a liberatore, con il rischio di morire, nell’anima e nel corpo)

In una caverna ci sono dei prigionieri, incatenati fin dall'infanzia nelle sue profondità. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possono solo fissare il muro dinanzi a loro.
Alle spalle dei prigionieri è stato acceso un enorme fuoco.
Tra il fuoco e i prigionieri corre una strada rialzata. Lungo questa strada è stato eretto un muricciolo, lungo il quale alcuni uomini portano forme di vari oggetti, animali, piante e persone.
Le forme proiettano la propria ombra sul muro e questo attrae l'attenzione dei prigionieri. Se qualcuno degli uomini che trasportano queste forme parla, si forma nella caverna un'eco che spinge i prigionieri a pensare che questa voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro.
Un prigioniero si libera dalle catene!
Gli resta difficile camminare e perfino rimanere in piedi. Va verso l'uscita della caverna: i suoi occhi restano abbagliati dalla luce e prova dolore.
Nel cammino, vede le forme portate dagli uomini lungo il muretto. Gli sembrano meno reali delle ombre alle quali è abituato. Soffre nel fissare il fuoco, preferisce ancora volgersi verso le ombre.
Dopo molti sforzi, esce dalla caverna. Viene esposto alla diretta luce del Sole. Rimane quasi accecato e non riesce a vedere alcunché. Il prigioniero si trova a disagio, si irrita per essere uscito dal luogo cui era abituato.
Piano piano, il prigioniero riesce a distinguere le ombre delle persone e delle cose naturali, grazie alle loro immagini riflesse nell'acqua. Con il passare del tempo può sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi.
In seguito, di notte, volge lo sguardo al cielo, ammirando i corpi celesti con maggior facilità che di giorno.
Infine, il prigioniero è capace di vedere, per brevi attimi, il Sole stesso. Ora sa che il Sole emana la luce che rende tutto visibile con chiarezza.
Capisce anche che è il Sole a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e suoi compagni vedevano.
Resosi conto della situazione, egli decide di tornare nella caverna e liberare i suoi compagni, essendo felice del cambiamento e provando per loro un senso di pietà.
Il problema, però, è convincere gli altri prigionieri ad essere liberati. Infatti, deve riabituare gli occhi all'ombra. Passa del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente di nuovo nel fondo della caverna. Durante questo periodo è oggetto di riso da parte dei prigionieri: è tornato dall'ascesa con gli occhi rovinati!
Inoltre, questa sua temporanea inabilità influisce negativamente sulla sua opera di convincimento e, anzi, spinge gli altri prigionieri ad insultarlo, denigrarlo.
Un bel giorno lo uccidono.

Repubblica - Libro VII: il mito della caverna. Significati generali

1. ONTOLOGICO (essere). Ci sono due livelli di realtà, una sensibile e un’altra soprasensibile.

2. GNOSEOLOGICO (verità). Ci sono due livelli di conoscenza, una è l’opinione ingannevole, l’altra è la scienza, che è vera conoscenza

3. ASSIOLOGICO (valore, morale). Il nostro comportamento e i nostri giudizi morali dipendono da criteri che implicano il riferimento a una perfezione assoluta non riscontrabile nel mondo sensibile.

4. POLITICO (etica, dovere verso la collettività). Il filosofo che pure vorrebbe fermarsi a contemplare la bellezza del mondo ideale ha il dovere di aiutare la collettività. Non si può prescindere dal contesto in cui si vive. L’uomo è uomo in una città.

5. PEDAGOGICO (è il percorso educativo dell’Accademia). L’educazione è un percorso di graduale avvicinamento teorico-pratico alla verità. Conversione alla vita filosofica

6. MISTICO – RELIGIOSO (contemplazione intuitiva del Bene in sé). Il Sole non si può guardare direttamente. Occorre un occhio interiore che intuisca l’Uno. Serve la conversione dello sguardo verso l’idea del Bene.



Repubblica - Libro VII: il mito della caverna. Significati particolari

La caverna oscura = il nostro mondo di tutti i giorni.

Gli schiavi incatenati = gli esseri umani nel mondo.

Le catene = l'ignoranza e le passioni che ci inchiodano a questa vita.

Le ombre delle statuette = l'immagine superficiale delle cose, corrispondente al grado gnoseologico dell'immaginazione.

Le statuette = le cose del mondo sensibile corrispondenti al grado della credenza.

Il fuoco = l’uso dell’intelletto / i principi fisici con cui i primi filosofi spiegarono le cose.

La liberazione dello schiavo = l'azione della conoscenza e della filosofia.

Il mondo fuori della caverna = le idee.

Le immagini delle cose riflesse nell'acqua = le idee matematiche che preparano alla filosofia.

Il Sole = l'idea del Bene che tutto rende possibile e conoscibile.

La contemplazione assorta delle cose e del Sole = la filosofia al livello di comprensione intuitiva.

L’ex schiavo che vorrebbe starsene “sempre là” = la tentazione del filosofo di chiudersi in una torre d'avorio.

L’ex schiavo che ritorna nella caverna = il dovere del filosofo di far partecipi gli altri delle proprie conoscenze.

L'ex schiavo che non riesce più a vedere le ombre = il filosofo che per essersi troppo concentrato sulle idee si è disabituato alle cose.

L’ex schiavo deriso = la sorte dell'uomo di pensiero: viene scambiato per pazzo da coloro che sono attaccati ai pregiudizi e ai modi di vita volgari.

I grandi onori attribuiti a coloro che sanno vedere le ombre = il premio offerto dalla società ai falsi sapienti.

L'uccisione dell’ex schiavo = Il rischio del filosofo, che parla di verità a chi non vuole/sa ascoltare. Socrate e la cicuta.



Repubblica - Libro VIII

Analisi delle quattro forme di governo esistenti, l’una degenerazione dell’altra.
Dopo lo stato ideale ci sono: timocrazia, oligarchia, democrazia, tirannide. [la forma ideale delineata precedentemente è un’aristocrazia].

A queste forme corrispondono quattro tipi di uomo; in essi l’anima non è guidata dalla parte razionale ma dall’elemento impulsivo (timocrazia e oligarchia) o, peggio, da quello concupiscibile (democrazia, tirannide).

Il governo dei filosofi nello Stato e il governo della ragione nell'individuo sono le forme migliori, mentre la tirannia politica nello Stato e la tirannia delle passioni nell'individuo sono le peggiori.



Repubblica - Libro IX

Analisi del carattere tirannico.

L’uomo e lo Stato tirannici sono i più ingiusti e infelici.

Il sapiente si realizza non nella sua patria, ma nella città ideale.

Altra metafora: la giustizia si realizza quando nell'essere umano predomina l'uomo che, con l'aiuto del leone, tiene a freno il mostro policefalo (di nuovo la tripartizione interna all'anima).

Il saggio realizza in se stesso la città ideale.







Repubblica - Libro X

La discussione torna sulla poesia e l’imitazione.
Distinzione tra Idee, oggetti sensibili e oggetti dell’arte.
Poeti e pittori imitano la realtà come appare, cioè gli oggetti sensibili e quindi essi sono tre gradi lontani dalla vera realtà delle Idee.
→L’arte è imitazione di imitazione (mìmesis mimèseos).

Omero e, in generale, la poesia vanno banditi dallo Stato ideale. L'arte va bandita fino a quando non riesca a dimostrare la sua utilità per lo Stato.

Si accenna poi alle ricompense dopo la morte assegnate alla virtù e Socrate approfitta per dimostrare l’immortalità dell’anima che si può contemplare nella sua purezza e perfezione solo dopo il distacco dal corpo.

Conclusione con il mito di Er.

Solo il giusto è felice, da vivo e dopo morto.



Repubblica - Libro X: il mito di Er

In una grandiosa rappresentazione dell’universo governato da un’armonia perfetta si narra di come Er, il soldato, veda che l'anima è immortale, i giusti verranno premiati, gli ingiusti puniti.

Abbiamo la possibilità di partecipare alla scelta della nostra vita.

Er è una figura inventata da Platone per l'elaborazione di uno dei suoi miti: protagonista è un soldato della Panfilia caduto in battaglia, di nome appunto Er, che viene resuscitato mentre il suo corpo sta per essere bruciato sulla pira e racconta ciò che ha visto.


Repubblica - Libro X: il mito di Er.
1) Il giudizio dei morti

Una volta uscita dal corpo, l’anima di Er si mette in cammino con molte altre.
Giunge in un luogo daimonion (=meraviglioso, divino): due coppie di voragini contigue, una in cielo e l'altra in terra, e in mezzo siedono i giudici delle anime.
Questi, pronunciato il giudizio, pongono i segni della sentenza e ordinano ai giusti di salire a destra e in alto e agli ingiusti di scendere a sinistra in basso.
Quando Er si presenta i giudici gli ingiungono di ascoltare e guardare per poterlo raccontare.
Dalla voragine celeste a sinistra e dalla voragine terrestre a destra escono altre anime, le une pure e le altre sporche e impolverate, reduci da un viaggio di mille anni in cielo o sottoterra.
Il viaggio sotterraneo era un viaggio di espiazione, nel quale ogni ingiustizia commessa in vita veniva pagata con dolori dieci volte tanti quanti quelli provocati. Con una misura analoga le azioni giuste venivano compensate.
Tutti i castighi sono temporanei, tranne quelli riservati ai tiranni.



Repubblica - Libro X: il mito di Er.
2) Il cosmo

Dopo sette giorni di permanenza in quel luogo, le anime riemerse sono fatte camminare per quattro giorni, finché non giungono in vista di una luce simile all'arcobaleno, che tiene insieme tutta la circonferenza del cielo.

Alle estremità è sospeso il fuso di Ananke (la divinità che rappresenta la necessità o il destino ineluttabile, per il quale girano tutte le sfere).
Il fusaiolo è formato da otto vasi concentrici, messi uno dentro l'altro, e ruotanti in direzioni opposte sull'asse del fuso.
Su ogni cerchio sta una Sirena, che emette un'unica nota, e le diverse Sirene tutte insieme producono ruotando un'armonia. (Gli otto fusaioli rappresentano gli otto cieli concentrici della cosmologia antica, nell'ordine pitagorico: Stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Venere, Sole e Luna).

Il fuso gira sulle ginocchia di Ananke. Le tre Moire (o Parche) siedono in cerchio su tre troni a uguale distanza. Le Moire sono figlie di Ananke: Cloto, la filatrice, canta il presente, Lachesi, la distributrice, il passato, e Atropo, colei che non può essere dissuasa, l'avvenire.


Repubblica - Libro X: il mito di Er.
3) La scelta di una nuova vita

Un araldo mette in fila le anime per presentarle a Lachesi.
Quindi, una volta prese dalle ginocchia della Moira le sorti e i modelli di vita, annuncia: “Anime, che vivete solo un giorno comincia per voi un altro periodo di generazione mortale, portatrice di morte, Sarete voi a scegliere il daimon. E chi viene sorteggiato per primo scelga per primo una vita, cui sarà necessariamente congiunto. La virtù è senza padrone e ciascuno ne avrà di più o di meno a seconda che la onori o la spregi. La responsabilità è di chi sceglie; il Dio non è responsabile”.

[Saper scegliere una vita giusta -commenta Socrate- è importante per raggiungere l’eudaimonìa (felicità). Anche chi viene estratto per ultimo, essendo ampia la rosa dei paradigmi di vita, c'è possibilità di condurre una vita non cattiva, se la scelta viene fatta con senno].

Er racconta che la prima anima, che era venuta dal cielo, dopo aver praticato la virtù solo per abitudine e senza filosofia in una politeia ordinata, si precipita a scegliere la vita di un tiranno.
Le anime che venivano dalla terra, invece, facevano scelte più avvedute, perché avevano imparato dall'esperienza.
La maggioranza sceglie secondo le abitudini della vita precedente: Agamennone sceglie la vita di un'aquila e Odisseo, stanco di avventure, la vita tranquilla di un privato.

Scelto il daimon, questo guida l'anima da Cloto, a confermare sotto il giro del fuso il suo destino, e poi da Atropo a renderlo inalterabile, e quindi, dal trono di Ananke, verso la pianura del Lete, afosa e senza alberi.
Alla fine della giornata le anime si accampano sulla riva del fiume Amelete, la cui acqua non può essere contenuta da nessun vaso. Tutti -tranne Er- vengono obbligati a bere quell'acqua, che fa dimenticare. I meno saggi ne bevono di più, assecondando istintivamente la loro sete.

Poi le anime si addormentano e, a mezzanotte, con un terremoto, vengono lanciate nell'avventura del nascere.
Er, che non ha bevuto l'acqua del Lete, si sveglia sulla pira funeraria, con la memoria integra. E racconta la sua storia.



Repubblica - Uno schema






























FEDRO

Il luogo sopraceleste nessuno dei poeti di quaggiù lo cantò mai né mai lo canterà in modo degno.

Nel dialogo Fedro si tratta soprattutto dell'eros e dell'ascesa dell'anima verso il mondo intelligibile, ma molti temi vi si intrecciano:

- Difesa dell'oralità contro la scrittura (mito di Teuth)

- L'anima umana (mito della biga alata)

- L'amore come via alogica all'Iperuranio (è in questo dialogo che il mondo delle idee viene chiamato così).

- Importanza della bellezza

- L’altra via per accedere al mondo delle Idee, liberandosi della prigione del corpo, è la filosofia, che tende alla verità

- I gradi dell'eros, cioè la scala gerarchica che, dall'amore fisico, arriva alla contemplazione del mondo delle Idee [Cfr. anche il Simposio]

- La retorica: l'arte del parlare non si deve distaccare dalla verità. Il metodo corretto passa attraverso un procedimento di analisi e sintesi.


Fedro – Il mito di Theuth

Theuth, l'ingegnosa divinità egizia, si recò presso re Thamus, allora sovrano dell'Egitto, per sottoporgli le proprie invenzioni, consigliandogli di diffonderle presso il suo popolo, che ne avrebbe tratto grande giovamento.

Theuth propose a Thamus l'arte della scrittura (“Questa conoscenza, o re, renderà gli egiziani più sapienti e più capaci di ricordare, perché con essa si è ritrovato il farmaco della memoria e della sapienza”)
Il saggio Re rispose: “O ingegnosissimo Theuth, c'è chi è capace di creare le arti e chi, invece, è capace di giudicare quale danno o quale vantaggio ne ricaveranno coloro che le adopereranno. Ora tu, essendo padre della scrittura, per affetto hai detto proprio il contrario di quello che essa vale. Infatti, la scoperta della scrittura avrà per effetto di produrre la dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perché fidandosi della scrittura si abitueranno a ricordare dal di fuori, mediante segni estranei, e non dal di dentro e da se medesimi: dunque, tu hai trovato non il farmaco della memoria, ma del richiamare alla memoria. Della sapienza, poi, tu procuri ai tuoi discepoli l'apparenza e non la verità: infatti essi, divenendo per mezzo tuo uditori di molte cose senza insegnamento, crederanno di essere conoscitori di molte cose, mentre come accade per lo più, in realtà, non le sapranno; e sarà ben difficile discorrere con essi, perché sono diventati portatori di opinioni invece che sapienti.”



Fedro – Il mito della biga alata

L'anima umana è come una biga alata guidata dall'auriga (parte razionale, la ragione), un cavallo bianco (parte irascibile, le passioni nobili) e un cavallo nero (parte concupiscibile, le passioni più legate al corpo).

L’auriga non può muoversi senza i cavalli, ma deve comandare e far sì che i due destrieri vadano nella stessa direzione, cioè in alto verso l’Iperuranio.
[→compito dell’auriga è dunque la metriopazia]

Se i cavalli non vanno nella stessa direzione, per lo sforzo e la tensione, le loro ali si possono spezzare cosicché la biga cadrebbe sulla Terra
[→ecco il trauma dell’incarnazione].

L’amore (definito una follia positiva) può far passare dei fluidi misteriosi tra le persone, che in tal modo riescono a guarire le ferite delle ali dei cavalli e riprendere il volo.



Fedro – Il racconto della scala dell'Eros o della gerarchia del bello

Chi comincia il cammino che può portarlo al fine ultimo, sin da giovane deve essere attento alla bellezza fisica.

In primo luogo, se chi lo dirige sa indirizzarlo sulla giusta strada, si innamorerà di una sola persona e troverà con lei le parole per i dialoghi più belli.

Poi si accorgerà che la bellezza sensibile della persona che ama è sorella della bellezza di tutte le altre persone: se si deve ricercare la bellezza che è propria delle forme sensibili, non si può non capire che essa è una sola, identica per tutti.
Capito questo, imparerà a innamorarsi della bellezza di tutte le persone belle e a frenare il suo amore per una sola: dovrà imparare a non valutare molto questa prima forma dell'amore, a giudicarla di minor valore.

Poi, imparerà a innamorarsi della bellezza delle anime piuttosto che della bellezza sensibile: a desiderare una persona per la sua anima bella, anche se non è fisicamente attraente.
Con lei nasceranno discorsi così belli che potranno elevare i giovani che li ascoltano.

E giunto a questo punto, potrà imparare a riconoscere la bellezza in quel che fanno gli uomini e nelle leggi: scoprirà che essa è sempre simile a se stessa, e così la bellezza dei corpi gli apparirà ben piccola al confronto.

Dalle azioni degli uomini, poi, sarà portato allo studio delle scienze, per coglierne la bellezza, gli occhi fissi sull'immenso spazio su cui essa domina.
Cesserà allora di innamorarsi della bellezza di un solo genere, d'una sola persona o di una sola azione -una forma d'amore che lo lascia ancora schiavo- e rinuncerà così alle limitazioni che lo avviliscono e lo impoveriscono.
Orientato ormai verso l'infinito universo della bellezza, che ha imparato a contemplare, le sue parole e i suoi pensieri saranno pieni del fascino che dà l'amore per il sapere.

Finché, reso forte e grande per il cammino compiuto, giungerà al punto da fissare i suoi occhi sulla scienza stessa della bellezza perfetta.
La Bellezza non ha forme definite: non ha volto, non ha mani, non ha nulla delle immagini sensibili o delle parole. Non è una teoria astratta. Non è uno dei caratteri di qualcosa di esteriore, per esempio di un essere vivente, o della Terra o del cielo, o non importa di cos'altro. No, essa apparirà all'uomo che è giunto sino a lei nella sua perfetta natura, eternamente identica a se stessa per l'unicità della sua forma.

Tutte le cose belle sono belle perché partecipano della bellezza.

Iniziando il proprio cammino dal primo gradino della bellezza sensibile, l'uomo si eleva coltivando il suo fecondo amore per i giovani e così impara a percepire in loro i segni della pura e perfetta bellezza: allora potrà dire di non essere lontano dalla meta.
Così, da soli o sotto la guida di un altro, la perfetta via dell'amore ha inizio con la bellezza sensibile ed ha per fine la contemplazione della Bellezza pura: l'uomo deve salire come su una scala.

Quanto alla divina follia ne abbiamo distinto quattro forme, a ciascuna delle quali è preposta una divinità: Apollo per la follia profetica, Dioniso per la follia iniziatica, le Muse per la follia poetica, mentre la quarta, la più eccelsa, è sotto l'influsso di Afrodite e di Amore.



MENONE

Nel dialogo Menone viene trattato il tema della conoscenza (problema gnoseologico).

La mente non è tabula rasa.

Come e cosa si può conoscere?
O già si conosce una cosa oppure non la si conosce: nel primo caso non c’è nulla da imparare, nel secondo caso la conoscenza diventa impossibile perché non si può cercare non sapendo cosa cercare

Per Platone il sapere (e la virtù) non può venire dall’esperienza, mutevole e relativa, ma la possiamo ricavare dal nostro interno, ricordando ciò che abbiamo contemplato nell’Iperuranio.

Famosissimo l’esempio di Socrate che, con la maieutica, riesce a condurre uno schiavo ignorante alla dimostrazione del teorema di Pitagora: è evidente che era innato in lui.

Quali sono dunque le vie per ricordare? Un modo è avere qualcuno che ci aiuti (Socrate per esempio), un altro, più impegnativo, è usare bene la propria esperienza.

Anche Pitagora ha fatto così: per primo si ricordò con la sua esperienza del teorema che gli viene attribuito (in realtà, quindi, lui non l'ha inventato,se lo è solo ricordato per primo).


Menone – Il mito dell'anàmnesis

La conoscenza è dunque dovuta all’anima che ricorda le Idee; l’esperienza ha la funzione importante di sollecitare il ricordo.

l’anima è immortale e ha visto le Idee.

L'anima cade nel mondo sensibile, si incarna e dimentica.

Le cose diventano lo stimolo per il ricordo delle Idee.

Reminescenza: nasciamo con in mente delle conoscenze (innatismo → la nostra mente non è una tabula rasa).

L’anima, prima di unirsi a un corpo è stata in contatto diretto con il mondo intelligibile, con le Idee.
L’anima preesiste agli individui, trasmigra, reincarnandosi in successive vite corporali → metempsicosi


TIMEO

Il Timeo è sicuramente l'opera più influente, almeno fino all'epoca del Rinascimento, nella storia del pensiero filosofico e teologico dell'Occidente.

Rappresenta la sintesi del pensiero cosmologico greco. E' stato interpretato dalla Chiesa in senso cristiano.

Il personaggio principale non è Socrate, ma Timeo (un pitagorico).

In questo dialogo, Platone si occupa del mondo sensibile soggetto al divenire (il mondo in cui si muove l'uomo) che finora era solo stato nominato nella sua inferiorità in quanto pallida copia del mondo delle Idee.
E' quindi un dialogo fisico, che cerca di operare una grande sintesi in una visione del mondo unitaria
→ Dal caos al cosmo.

Si riprendono i temi dei dialoghi Sofista (in cui vengono analizzati i rapporti tra Idee e Idee) e soprattutto Parmenide (in cui vengono analizzati i rapporti tra Idee e cose del nostro mondo).

Vi si espongono una cosmogonia (=come è nato il mondo) e una cosmologia (=come è fatto il mondo), che in qualche modo rivalutano il mondo sensibile.
Tutto ha una causa.

Viene narrato il mito del Demiurgo. Il mondo sensibile è voluto da un essere divino buono, ma di potenza non infinita.



Timeo – Il mito di Atlantide

Il mito di Atlantide è narrato anche nel dialogo Crizia.

Ci fu una grande potenza che invase tutta l'Europa e l'Asia, procedendo dal di fuori dell'Oceano Atlantico.
Allora infatti quel mare era navigabile, e davanti a quell'imboccatura che, come dite, voi chiamate Colonne d'Ercole, c'era un'isola, e quest'isola era più grande della Libia e dell'Asia messe insieme.
In quest'isola di Atlantide vi era una grande e meravigliosa dinastia regale che governava anche le regioni della Libia che sono al di qua dello stretto sino all'Egitto, e l'Europa sino alla Tirrenia.
Tutta questa potenza, radunatasi insieme, tentò allora di colonizzare con un solo assalto la vostra regione, la nostra, e ogni luogo che si trovasse al di qua dell'imboccatura. Ma il nostro coraggio ci lasciò liberi e Atlantide fu sconfitta.
In seguito avvennero terribili terremoti e diluvi; trascorsi un solo giorno e una sola notte tremendi, l'isola di Atlantide scomparve sprofondando nel mare: perciò anche adesso quella parte di mare è impraticabile e inesplorata, poiché lo impedisce l'enorme deposito di fango che vi è sul fondo formato dall'isola quando si adagiò sul fondale.
Resta il suo nome, dato al mare dove sorgeva.


Timeo – Il mito del Demiurgo

Platone aveva bisogno di un principio unitario in grado di giustificare e superare la rigida distinzione tra Idee e cose (dualismo).

Il divino artigiano cui viene dato il nome di Demiurgo è il mediatore tra il mondo delle idee e la materia.

Il Demiurgo è l'intelligenza che progetta il mondo, avendo le idee a modello e la materia (o chora) come strumento.

Il mondo sensibile, soggetto al divenire e generato, deve necessariamente discendere da un principio, giacché non vi è generazione senza una causa.

Il Demiurgo, essendo legato imprescindibilmente all'idea di Bene, non può che creare il migliore dei mondi possibili.

Il Demiurgo [causa efficiente] ha plasmato (non creato) la materia preesistente (la chora) [concausa materiale] infondendovi il massimo grado possibile di somiglianza al mondo intelligibile delle Idee [causa formale e finale].

Il Demiurgo non è un Dio onnipotente: è limitato dalle idee (deve imitarle) e dalla materia (oppone resistenza).


Timeo – Il mito dell'Anima del Mondo

Il mondo delle Idee è animato, movimentato, intelligente, vitale.

Dunque il mondo sensibile, nella misura in cui il Demiurgo lo plasma a immagine delle Idee, non può che essere simile a quello intellegibile 

L'Universo è un grande essere vivente
→ ha dunque un'anima sua.

Platone paragona il mondo sensibile a un animale vivente, anzi a una sorta di "dio visibile", in quanto plasmato dal Demiurgo.
Di questo dio visibile il corpo è il mondo e l'anima è estesa a tutto il mondo.

Richiamo ai pitagorici: l’anima permea il mondo e lo contiene secondo proporzioni e intervalli numerici di una scala musicale.
→Di qui anche il concetto di simpatia universale, sviluppato soprattutto dal neoplatonismo rinascimentale


Timeo – Cosmologia

Dai Generi sommi "Identico" e "Diverso" (vedi: gerarchia delle Idee), il demiurgo plasma l'universo sulla base di 4 solidi regolari (tetraedro, cubo, ottaedro, icosaedro) da cui derivano i 4 elementi (rispettivamente: fuoco, terra, aria, acqua).
A questi 4 poliedri si aggiunge il dodecaedro da cui deriva l'etere [la cosiddetta quinta essenza]. Questi 5 volumi geometrici sono la perfezione e rappresentano la forma base della materia (i primi 4) e dei cieli e della Luna (il 5°elemento).
Il demiurgo pone poi anche il ricettacolo delle cose: il luogo o spazio.

Il Demiurgo ha plasmato anche gli Dei visibili e cioè: i sette astri, con le sette orbite in moto circolare, e gli Dei della tradizione (a cui ha affidato il compito di completare la generazione della realtà visibile, plasmando ciò che perisce e che Egli non può forgiare, affidando loro, da infondere nei corpi mortali, le anime umane incorruttibili).
→Si capisce ora anche l'importanza della stereometria nell'educazione del filosofo: infatti la steroemetria (=scienza della misurazione dei solidi) ha come scopo trovare un quadro complessivo dei rapporti tra realtà fisica, numeri e geometria.

Il Demiurgo ha creato anche il tempo che è "immagine mobile dell'eternità" (dunque una sorta di imitazione dell'eternità).
Non a caso ritorna sempre su se stesso [tempo ciclico]. Gli astri celesti con il loro moto circolare e perfetto lo rappresentano bene.

Il "grande discorso cosmologico" del Timeo descrive, in sintesi, la mirabile opera del Demiurgo che realizza il passaggio dal caos al cosmo; un'opera da cui scaturiscono l'armonia, la bellezza, l'unità e la simpatia interna al cosmo, la generazione e la struttura dell'anima (dell'universo e dell'uomo), il tempo, i pianeti e le stelle, gli animali e l'uomo.




Timeo – Il mito del ciclo delle incarnazioni

Tre specie dell'anima furono collocate in tre sedi diverse. Quella di esse che rimane inerte e lascia a riposo i suoi movimenti è necessariamente la più debole, mentre quella che si esercita diviene fortissima.
Chi si è occupato dello studio della scienza e delle riflessioni sulla verità prende parte dell'immortalità e sarà particolarmente felice.

Gli esseri viventi si trasformano fra loro da una specie all'altra, a seconda della perdita o dell'acquisto della mente o della stoltezza.

1) Tutti quelli che sono nati uomini, ma sono stati vili e hanno trascorso la loro vita nell'ingiustizia, si mutarono in donne quando nacquero per la seconda volta. Per queste ragioni gli dèi crearono l'amore carnale.

2) La stirpe degli uccelli, che possiede penne anziché peli, è derivata dalla trasformazione di quegli uomini che, non certo malvagi ma un po' sciocchi, si ritengono esperti delle cose celesti e pensano, a causa della faciloneria che li contraddistingue, che la sola vista sia sufficiente.

3) Gli animali pedestri e selvaggi sono derivati dagli uomini che non coltivano affatto la filosofia, e non osservano per nulla la natura celeste, perché non si servono affatto della testa, ma si lasciano guidare dalle parti dell'anima che sono nel petto. E quelli più irragionevoli ancora e attratti dall'affinità con la terra furono generati senza piedi e striscianti sulla terra.

4) La quarta specie, la specie acquatica, si generò dagli esseri più stolti e più ignoranti di tutti: e gli dèi, che operano trasformazioni, non ritennero questi animali degni di una respirazione pura, poiché la loro anima era impura a causa di ogni sorta di errore. Di qui prese origine la stirpe dei pesci, delle ostriche, e di tutti quanti gli animali che vivono nell'acqua, ed ebbero in sorte le dimore più profonde come pena per la loro profonda ignoranza.



Agrafa dogmata: le dottrine non scritte (ἄγραϕα δόγματα)

Su queste cose non c'è un mio scritto né ci sarà mai. In effetti la conoscenza della verità non è affatto comunicabile come le altre conoscenze, ma, dopo molte discussioni fatte su questi temi, e dopo una comunanza di vita, improvvisamente, come luce che si accende dallo scoccare di una scintilla, essa nasce dall'anima e da se stessa si alimenta. (Platone, Lettera VII)

L'Uno e la Diade. Tale concezione, di tipo pitagorico, intende l'Uno (il «Bene in sé» dei dialoghi) come tutto ciò che è unitario e positivo, mentre la Diade, ovvero il mondo delle differenze e della molteplicità, genera il disordine.

il mondo delle Idee non è più la dimensione ontologica primaria. Primari sono solo i Principi primi (Uno e Diade).
Le Idee "procedono" da quei Principi partecipando dell'unità e distinguendosene per difetto o per eccesso
→ Le stesse Idee, quindi, entrano in relazione con la materia e generano gli enti sensibili, che partecipano dell'Idea corrispondente e se ne differenziano secondo la Diade, sempre per eccesso o per difetto.
Ne consegue che le stesse Idee sarebbero "generate", forse ab aeterno.

Il bene, poi, nel mondo sensibile, dove non può esservi unità, ma solo molteplicità, consiste nell'armonia delle parti.


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giovedì 9 aprile 2015

2 aprile 2015 - La discussione post lezione 10

Dopo la lezione su Platone, come spunto iniziale per la discussione, siamo partiti dalla descrizione che Platone, nel mito di Er (Repubblica, X), offre del momento in cui le anime debbono reincarnarsi in un corpo mortale. Ecco il testo:



















Parole della vergine Lachèsi, figlia di Anànke:

“Anime, che vivete solo un giorno, comincia per voi un altro periodo di generazione mortale, portatrice di morte.

Non vi capiterà in sorte un dàimon, ma sarete voi a scegliere il dàimon.

E chi viene sorteggiato per primo scelga per primo una vita, cui sarà necessariamente congiunto.

La virtù è senza padrone e ciascuno ne avrà di più o di meno a seconda che la onori o la spregi.

La responsabilità è di chi sceglie; il Dio non è responsabile”.


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La lettura di questo testo ha dato vita ad una serie di domande da cui poi è partita una discussione. Le domande sono le seguenti:



1. Non esiste il destino? (Juan)

2. Perché le anime vivono un solo giorno? (Andrea)

3. Se tu ti scegli una vita, sarai necessariamente congiunto a questa? (Federico)

4. Se il Dio non è responsabile, di che cosa è responsabile il Dio? (Claudio, Andrea, Pamela)

5. Il fatto che la scelta è rimessa all'anima è assimilabile al libero arbitrio? (Paolo)

6. Ci sono delle vite in cui la virtù non basta? (Donatella)

7. L'anima può essere generatrice o portatrice di morte? (Lilly)

8. C'è una vita dopo la morte? E se sì, è consapevole della vita precedente? (Valentino)

9. L'anima vuole dare la colpa a Dio? (Elisabetta)


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Solitamente, la discussione che segue le domande non porta il gruppo a trovare delle risposte, ma altre domande e altri spunti di riflessione. Questa volta, però, è sembrato che l'orientamento generale portasse a dire che la libertà per gli esseri umani si può intravvedere:

1. nel momento in cui siamo colti da una sorta di consapevolezza e dentro di noi si sente, e poi si dice: "preferirei di no", di fronte ad una scelta;

2. nel momento che precede il contenuto di una scelta, nell'esperienza quasi astratta della possibilità, prima che la possibilità si realizzi in un modo o in un altro.