martedì 14 febbraio 2017

9 febbraio 2017 - Lezione 28 - GIORDANO BRUNO

GIORDANO BRUNO
Nola 1548 – Roma 1600



(Filippo) GIORDANO BRUNO
Nola 1548 – Roma 1600

Filosofo, frate, mago, oratore, esperto di mnemotecnica, definito spesso come “martire del libero pensiero”.

A 18 anni entra nell'ordine domenicano, dove rinuncia al nome di battesimo, Filippo, e assume quello di Giordano. 16 anni dopo ne esce perché anti-aristotelico e in odore di eresia. Scagliò via tutte le immagini dei santi e lasciò solo il crocifisso.

Per un periodo si avvicina al Calvinismo (sintonia contro il Cattolicesimo), ma se ne allontana per la rigidità e la predestinazione.

Colleziona ben tre scomuniche: una cattolica, una calvinista e una luterana.

Si dichiara figlio virtuale di Epicuro e gira in mezza Europa (Ginevra, Tolosa, Parigi, Oxford, Londra, Wittemberg, Praga, Francoforte, Zurigo, ecc.), ma il suo carattere irrequieto e le dottrine anticonformiste lo portano sempre a confliggere con i potentati locali.

Rientra in Italia, a Venezia, chiamato da Giovanni Mocenigo, il quale però, in seguito, lo denuncia al tribunale dell'Inquisizione. Estradato a Roma, dopo 7 anni di carcere, viene condannato al rogo.



E' dunque l'universo uno, infinito, immobile...

Bruno fu tra i pochi ad accogliere la teoria di Copernico con entusiasmo perché rompeva con il geocentrismo e soprattutto perché implicava* un universo molto più grande di quel che si pensava in base alla cosmologia di Aristotele (da lui definito a volte come "il sofista"”, anziché "il filosofo", come era d'uso dai tempi della Scolastica).
Bruno elabora una cosmologia che supera anche l'eliocentrismo→ universo infinito e unitario (con tanti mondi come il nostro) → profonda rottura con la Chiesa cattolica (fondata sulla Bibbia e su Aristotele)

Ad un universo infinito corrisponde una libertà umana infinita (l'universo finito è casa, ma anche gabbia; quello infinito non può più essere casa, ma neanche più gabbia).

* Copernico doveva rispondere alle critiche sulla mancanza dell'effetto parallasse (se la Terra ruotava, allora le stelle dovevano apparire in punti diversi a seconda del momento dell'osservazione): Copernico rispose all'obiezione dicendo che l'effetto parallasse c'era, ma che le stelle erano così lontane da renderlo inosservabile (dunque l’Universo è ancora finito, ma si amplia a dismisura!)


Trascendenza e immanenza

Prima di entrare ulteriormente nella filosofia del nostro nolano, occorre fare una distinzione tra due termini che possono riferirsi alla concezione di Dio.

Trascendente (dal latino trans + scandere = salire al di là)
→ Un Dio trascendente è al di là, in un'altra dimensione, totalmente separato dal nostro mondo, qualitativamente altro e inattingibile.

Immanente (dal latino in + maneo = rimanere all'interno)
→ Un Dio immanente è interno al mondo in cui viviamo, è implicito nelle cose del mondo e della natura. Si può anche dire che coincide con l'universo e la natura (panteismo), è in rapporto di coessenzialità reciproca con il mondo, non c'è differenza qualitativa ed è attingibile in qualche modo.

Chi ha alle spalle una tradizione cristiana, è portato ad avere familiarità con la prima concezione di divinità (l'al di là), mentre ha qualche difficoltà a comprendere bene la seconda. Ecco: la concezione di cui parla Bruno è la seconda.



Dio e (è) l'universo

Come Nicola Cusano (clicca qui per saperne di più), Bruno pensa che da una causa infinita derivi un effetto infinito, ma, a differenza di Cusano, non ha la preoccupazione di rimanere nella Chiesa cattolica per cui identifica Dio e universo in un radicale monismo immanentistico → Dio = natura.

Panteismo→La natura è Dio ed è viva in ogni sua parte

Bruno dice anche che il rapporto tra Dio e il mondo è il rapporto tra scultore e statua: essendo essa effetto dello scultore, nel conoscere la statua si conosce in qualche misura anche lo scultore perché nella statua ci mette una parte di sé. Ma non si può conoscere direttamente l'autore nella sua pienezza. Dunque rimane una parte inconoscibile di cui non ci si può occupare.
Deus super omnia (Dio al di sopra di tutto): il mondo è estrinsecazione di Dio, ma ciò non significa che Dio sia tutto solo nel mondo. Di questo Dio non si può parlare poiché inconoscibile.
Deus insitus omnibus (Dio insito in tutto): come filosofi si può conoscere solo ciò che Dio ha messo di sé nel mondo. Bruno si interessa solo a questo Dio.

Problema: dunque Bruno, come Cusano, quando parla di Deus super omnia, pensa anche ad un Dio trascendente?
Alcune possibili spiegazioni:
- Dire che il Deus super omnia è inconoscibile equivale forse a dire che credeva solo in quello insitus omnibus, mentre, nello stesso tempo, si garantiva dalle accuse di eresia.
- Forse Bruno pensava che il Dio trascendente è per il volgo (che va controllato), mentre il Dio immanente è per i filosofi (che osano seguire la verità).
- Forse nella concezione immanente di Bruno comprende una trascendenza gnoseologica (=non si può conoscere Dio in tutti i suoi modi, ma solo nel modo in cui Dio è la parte di natura con cui gli uomini hanno a che fare)



De la causa, principio et uno

Giordano Bruno distingue il termine "causa" da "principio. Vediamo di capire le differenze tra i due.

Causa = produce restando fuori dalla cosa prodotta

Principio = produce restando parte di ciò che ha prodotto, rimane nell'effetto

Che rapporto c'è, dunque, tra universo e Dio?
Dio è contemporaneamente causa e principio

La natura è divina e viva (ilozoismo).
Esiste solo la natura (che è divina e ha in sé la vita e il principio della vita) → monismo panteistico radicale. Il mondo si identifica totalmente con Dio.

Le cose del mondo (chiamate anche monadi) sono modi di manifestarsi dell'unica realtà divina. La differenza tra i modi e Dio non è nella qualità [“l'essere è e non può non essere”, direbbe Parmenide], ma nel fatto che ogni singola cosa non possiede in sé tutti i modi di manifestarsi dell'essere, che invece sono posseduti dall'universo (cioè da Dio).

Si può sintetizzare così: l'universo ha tutto l'essere e tutti i modi di essere, ogni ente ha tutto l'essere, ma non tutti i modi di essere

PS: Cade la distinzione aristotelica tra motore e mobile → ogni cosa è in sé motore. L'universo nel suo insieme non si muove (è l'insieme dei luoghi), ma ha articolazioni interne (modi) mutevoli e in divenire.

Alcuni esempi per capire attraverso le immagini:

Causa

C'è separazione tra causa e effetto













Principio

Non c'è separazione tra causa e effetto












Causa e Principio

L'universo (Dio) è contemporaneamente causa e principio




Natura naturans – Natura naturata

Riprendendo alcuni termini della Scolastica [che saranno poi impiegati da Spinoza], Bruno parla di
- Natura naturans (=Natura naturante), intesa come Dio dal punto di vista della causa, come potenza generatrice che perpetuamente si esplica e diffonde, come anima del mondo.
- e, poiché appunto la causalità della Natura naturans inerisce alle cose che produce, allora è anche Natura naturata, che è Dio dal punto di vista del principio, in quanto totalità stessa delle cose, come realtà in cui la potenza divina si diffonde, come universo nella sua infinita ricchezza.

NB: Natura naturans e Natura naturata si identificano e possono distinguersi solo se considerate in astratto.






Il posto dell'essere umano

Come ogni ente, siamo articolazioni interne dell'unica realtà: Dio, che coincide con la natura.
Siamo parte di un unico organismo →non ha senso pensarci come individui autonomi (così come un dito o un’unghia della mano non possono pensarsi organismo a sé stante)
→ Esiste il Dio-natura, non le sue proprietà, che sono comunque modi divini di manifestarsi.

La libertà è accettare di esistere come parte e manifestazione del tutto.

Errore clamoroso è credere di esistere come realtà staccata e indipendente dalle altre.
Smettere di credersi individui autonomi significa rinunciare ad essere umani per sapersi divini.

L'identità Dio-natura-uomo c'è da sempre: spetta alla filosofia portare l'uomo a rendersene conto (si diventa ciò che si è, ci si realizza pienamente solo se l'uomo sa chi è).

La morte non esiste, o meglio: esiste solo come trasformazione dell'unica sostanza. Siamo sempre manifestazioni dell'unica sostanza in cui tutto è vivo (cfr. anima del mondo di Platone).

In un mondo infinito è "infinitamente infinito" il bene che l'uomo può raggiungere e compiere

PS: Tutto ciò che ricade sotto i nostri sensi ha esistenza "parassitaria", come gli accidenti aristotelici che per esistere hanno bisogno di una sostanza alla quale riferirsi. Ma per Aristotele sostanza è il sinolo (l'essere umano, ad esempio, è sinolo di materia e forma, cioè corpo e anima), mentre per Bruno ogni cosa del mondo è accidente, singola manifestazioni (o modo) dell'unica sostanza.


Umbra profunda sumus

In una delle prime opere, il De umbris idearum (L'ombra delle idee), Bruno fa esplicito  riferimento al mito della caverna di Platone.

C'è un presupposto neoplatonico: Dio è inconoscibile (teologia negativa), ma nell'universo ci sono le sue idee eterne.

L'uomo si avvicina alla luce come l'ombra, partecipe della luce e delle tenebre.
→ Due processi opposti: descensus, da Dio all'uomo, e ascensus, via mistica dall'uomo a Dio.

La mente umana rispecchia in sé tutto l’universo ma la conoscenza è strutturalmente umbratile, dunque non conosce la verità (non può guardare direttamente Dio in faccia). La mente umana resta nella molteplicità.

Le idee umane, ombre dell’eterna idea, possono essere pensate, connesse e comprese solo se rivestite di forme adeguate ai nostri sensi. Esse sono un ponte tra luce e tenebre perché non c'è alcun aspetto della realtà che non abbia valore.

Occorre un metodo conoscitivo che colga la complessità del reale, fino alla struttura ideale che sostiene il tutto (vedi sotto: magia e mnemotecnica).

Le idee connettono i massimi e i minimi → da ogni singola cosa si può conoscere il tutto
[dunque si dà scienza del particolare (per Aristotele c'era scienza solo del generale)]


Gl'heroici furori

L'eroico furore è l'atteggiamento etico fondamentale che dà senso a ogni parola della filosofia di Bruno.

Eroico = duplice significato, sia da eroe, sia da eros → valoroso ed erotico
Furore = va inteso come follia, con significato positivo

L'eroico furore è la capacità dell'uomo di "indiarsi", di farsi una cosa sola con Dio. Una capacità che è razionale e irrazionale, una passione intelligente, una volontà d'amore, uno slancio tra libertà e necessità.

Paradosso: cosa significa identificarsi con Dio se poi lo siamo già?
Il problema nel "diventare ciò che si è" è rendersene conto. Acquisire la consapevolezza (intelletto e volontà) di essere Dio. Finché non ce ne rendiamo conto è come se non lo fossimo.




Il mito di Atteone

Il cacciatore Atteone, con i suoi cani di diversa forza e agilità, si inoltra caparbiamente in una selva fitta e difficile da percorrere.
Arriva infine ad un laghetto e vede la dea Diana nuda che fa il bagno.
La Dea se ne accorge e punisce Atteone trasformandolo in cervo.
A questo punto i suoi cani, non riconoscendolo più, lo inseguono e lo sbranano.


Il significato originario del mito è di monito: si mette in evidenza l'hybris (=tracotanza) dell'uomo che si colloca su un piano che non è il suo, desidera troppo, eccede i suoi limiti, vuole vedere la verità nella sua purezza e quindi viene punito.

Bruno, però, ne dà un significato diverso: per lui eccedere i limiti ed espandersi nell'infinito è positivo.


L'eroico furore di Atteone

Ecco la spiegazione del mito alla luce dell'interpretazione bruniana.

Atteone è l'uomo che può diventare filosofo.

I cani sono di due tipi, alcuni più agili ma meno forti, altri più forti ma meno agili, e rappresentano due aspetti delle facoltà umane: la volontà e l'intelletto.

La caccia è metafora tipica della filosofia, quasi come se si andasse a caccia del sapere (già Platone l'aveva usata e anche Cusano).

La preda inseguita da Atteone è la natura: il filosofo ricerca l'essenza della natura.

La selva non è facile da attraversare. Non tutti possono farcela (emerge la concezione aristocratica che Bruno ha del sapere).

La Dea Diana incarna la natura e il rispecchiarsi della Dea nello stagno simboleggia la divinità che si rispecchia nella natura (Bruno dice a volte che la divinità può essere letta per speculum, come attraverso lo specchio della natura).

La visione della Dea nuda rappresenta la contemplazione del filosofo dell'essenza della natura, tanto inseguita in precedenza.

La trasformazione in cervo simboleggia la trasformazione in natura (infatti il cervo incarna anch'esso la natura).

I cani che si rivolgono contro Atteone rappresentano i pensieri e la volontà del filosofo, prima rivolti ad una natura concepita come esterna e poi compresa come insita in lui. Intelletto e volontà finiscono per rivolgersi verso di lui e catturarlo (eroico furore).

L'essere sbranato significa che il filosofo ha capito e accettato il fatto che lui, la natura e la divinità sono la stessa cosa. Ha trovato se stesso è diventato ciò che è e ha realizzato l'indiamento, scomparendo come singolo individuo.



Magia e mnemotecnica

Come molti intellettuali dell'epoca, Bruno aveva una visione mistica e magica dell'universo, di derivazione neoplatonica: con la magia il sapiente può trasformare la realtà, ne conosce i rapporti intimi di simpatia universale.
Bruno non ha mai un atteggiamento scientifico "moderno".

Adesione a dottrine ermetiche senza tentativi di conciliarle con il Cristianesimo, ma contrapponendole alla Chiesa in quanto portatrici di una più antica e profonda sapienza.

Il Rinascimento è una pianta amputata dai secoli bui del Medioevo, ma le radici sono ancora vive. Le radici sono la sapienza dell'antico Egitto → Le divinità egizie erano terioantropomorfiche (umane e animali ) → rappresentazione simbolica delle sue stesse idee sull'identità Dio-natura-uomo.

L’ars memoriae è essenziale: nell’universo è presente e operante una fittissima trama di intrecci e combinazioni, i cui nessi devono essere mandati a memoria.

Il mago cerca valori simbolici, individuando per ogni ambito della realtà un elemento primario che funga da unità (nei numeri l'1, nel sistema solare il Sole).

Grande magia sarebbe quella di uno che fosse in grado di passare dall'unità alla molteplicità e dalla molteplicità all'unità


De Magia

Non è concesso all'uomo quel primato (stabilito dalla Bibbia e dalla scienza), che lo prevede dominatore del mondo, ma è semplice "cooperatore dell'operante natura".

Alla base c’è una teoria fondata su principi assai precisi, a cominciare da quello platonico di anima del mondo, da cui discende la concezione della universale simpatia delle cose che rende possibile le operazioni magiche, compresa l’azione a distanza.

Vari tipi di magia. La magia matematica "è sia buona sia malvagia, a seconda dell’uso –positivo o negativo– che ne fanno i maghi".
A Bruno interessa solo la magia di tipo naturale, della quale si propone di indagare il fondamento ‘scientifico’, il significato e le funzioni sia sul piano naturale che su quello del ‘convitto umano’.

Nell'opera De Vinculis, muovendo dal concetto di ‘vincolo’ –e, in modo specifico, del vincolo d’amore–  Bruno analizza in che modo il ‘cacciatore di anime’ riesca a ‘vincolare’ gli uomini, penetrando, con ‘tecniche’ appropriate, nelle dinamiche della psiche umana per assoggettarla al suo dominio.

Anche in politica, il fondamento del potere è nella magia: cioè nella capacità di vincolare.

La magia di Bruno non è dunque superstizione, ma partecipazione dal di dentro alle potenzialità illimitate della natura. La magia di Bruno è ispirata al principio dell'amore universale.

Non essendoci nell'universo parte più importante dell'altra

Non si pensa al primato dell'uomo, ma al primato degli equilibri sempre instabili e sempre da ricostruire tra soggetto e oggetto, tra uomo e natura. La magia non è potere sulla natura, ma scoperta dei vincoli con cui tutte le cose si incatenano.


Cantus circaeus

Nel Cantus circaeus Bruno afferma il valore della magia e l’importanza della mnemotecnica.

Come per il mito di Atteone, Bruno dà una nuova interpretazione anche alla vicenda di Circe e della trasformazione degli uomini di Ulisse.
La maga Circe spiega alla sua apprendista Meri il vero significato della trasfigurazione in porci degli uomini di Ulisse: non si tratta di una punizione, ma di un dono perché, finalmente privati della lingua e della mano (con cui gli uomini hanno messo in crisi il mondo), raggiungono la vera corrispondenza tra anima e corpo.

Circe osserva come le leggi della natura, la giustizia e la virtù siano venute meno. Si è spezzato alla radice il nesso tra essere e apparire, tra l’essere e i caratteri con cui l’essere si manifesta.

→ La magia è la possibilità di riconnettere all’uno la molteplicità, l’essere all’apparire.

Come strumento indispensabile alla magia del filosofo c’era la mnemotecnica, "l’arte che mostra la via e apre l'ingresso a massime invenzioni". Come già detto, la mnemotecnica consiste nel memorizzare e nel separare ogni cosa per scoprire i rapporti magici che esistono tra tutte le cose del mondo.


Il superamento dei dualismi

Con il monismo di Bruno vengono superati i dualismi incontrati nella storia della filosofia:

Uno-molti → Monismo assoluto. La molteplicità è dei modi, è un'articolazione interna dell'unica sostanza (non si esce fuori da Dio)

Materia-forma → la forma è insita nella materia, che è viva (ilozoismo) e non necessita di atti esterni. La materia non è passività come in Aristotele → anche potenza e atto sono un'unità → anche anima e corpo sono un'unità perché l'anima non è atto del corpo

Essere-divenire → l'universo guardato dal punto di vista dei particolari infiniti esseri che lo compongono è sede del divenire, ma in sé è immobile (non ha luoghi in cui divenire). Accoglie, nella sua identità impassibile, i contrasti e le vicende degli esseri in lui impliciti

Libertà-necessità → Veramente libero è chi sa e accetta di essere interno a un tutto necessario

Meccanicismo-finalismo → le singole cose divengono ma non l'universo, che è legge (fine)

Mondo celeste-mondo sublunare→L'universo è infinito e composto dall'unica materia che è Dio


PS: La capacità di immedesimarsi con l'universo e di essere in unità con esso porta Bruno ad una visione del cosmo sorprendente: ad esempio dice che anche le costellazioni perdono di significato perché ai nostri occhi risultano stelle allineate, ma chi sa vedere oltre capisce che in realtà sono disposte in profondità le une rispetto alle altre.


Confronti con altri panteisti

Per gli stoici libertà e necessità coincidono: vera libertà non è libero arbitrio, ma adattarsi alla razionalità del tutto (il lògos), facendosi governare solo dalla propria intrinseca natura (che è ugualmente lògos).
A rigore, però, la posizione stoica è panenteistica (Dio è nel mondo), ma non panteistica (Dio è il mondo). Per gli stoici c'è una materia inerte e passiva che viene vivificata dal lògos divino.
Per Bruno invece la materia è forma (e le passioni non vanno eliminate)

Plotino per descrivere il rapporto Dio-mondo si serviva di metafore, ad esempio la fonte: l'Uno è la sorgente, il mondo è il corso d'acqua. La fonte è radicalmente altra cosa dal ruscello e quindi c'è trascendenza, ma il legame non è disgiungibile: la fonte, in qualche modo, continua a essere presente nel ruscello. Non c'è creazione (che separa nettamente): ciò che viene emanato dalla fonte è l'essere della stessa fonte.
Per Bruno non c'è un uscir fuori: è tutto sempre dentro

Cusano rende Plotino compatibile con il Cristianesimo e con il creazionismo, introducendo il concetto di contrazione che differenzia l'infinito divino dall'infinito dell'universo. Solo Dio è complicata (=piegata insieme) e assoluta coincidentia oppositorum, mentre nel mondo l'infinito, pur essendo esplicazione di Dio, si contrae in ogni singolo ente e crea molteplicità e opposizioni reciproche. I due infiniti sono radicalmente diversi (c'è trascendenza).
Per Bruno la questione è aperta: mens super omnia o mens insita omnibus? Rimaniamo alle parole di Bruno: lui indaga solo Dio come mens insita omnibus


Il processo e il rogo

Nel 1591 Giordano Bruno giunse a Venezia su invito del nobile Giovanni Mocenigo, come professore di mnemotecnica, e qui pensò di trovarsi al sicuro sotto la protezione della Repubblica.
Invece lo stesso Mocenigo, non persuaso dalle sue lezioni, forse per gelosia di una sapienza "riposta" che egli ritenne di non essergli stata del tutto svelata o forse spaventato dalle sue teorie eterodosse, nel 1592 lo denunciò al Sant’Uffizio, in una lettera che portò all’arresto la notte seguente.

La prima fase del processo si svolse a Venezia, dove fu incarcerato ed affrontò sette interrogatori, tra il 26 maggio e il 30 luglio del 1592.
Dalla parte di Bruno c'era il fatto che Venezia godeva di uno status di autonomia rispetto a Roma e che vigeva il principio testis unus, testis nullus (un solo testimone è nullo ai fini processuali o per essere sottoposto a tortura).
Il processo stava volgendo a favore dell'imputato, quando la Congregazione Generale del Sant’Uffizio chiese e ottenne l'estradizione: Bruno fu consegnato al Tribunale ecclesiastico di Roma.

A Roma, mentre era incarcerato (in una cella ampia e comoda), all’originaria denuncia di Mocenigo si aggiunsero, nel 1593, altri capi d’accusa imputatigli dai suoi 5 compagni di cella a Venezia.
A quel punto la situazione si fece molto grave. A partire dal 1595 l’attenzione degli inquisitori, mediante una commissione di 6 teologi, si concentrò su prove oggettive: gli scritti del filosofo, intorno ai quali iniziò un attento, lunghissimo e non facile lavoro di analisi e interpretazione che durò fino al 1597 e interruppe lo svolgimento del processo (ma non la carcerazione).

Ai ripetuti inviti a ritrattare le sue teorie, che si susseguirono negli anni successivi, Giordano Bruno oppose continui rifiuti, affermando di non aver nulla da ritrattare, pur mantenendo un atteggiamento contraddittorio: non si rifiutò a un’abiura generale, ma nello specifico non volle abbandonare alcune proposizioni contenute nell’accusa.
Nella sua difesa sostenne di non aver mai attaccato direttamente la religione cattolica e che chiunque studi Aristotele, fondamento della dottrina cristiana, si scontra inevitabilmente con un pensiero non cristiano.

L’atteggiamento di Bruno si irrigidì improvvisamente quando il cardinal Bellarmino gli sottopose un gruppo di proposizioni (per lo più tratte dall'opera Lo spaccio della bestia trionfante) sicuramente eretiche chiedendo all’imputato (del quale la Chiesa cercava innanzitutto un pieno reintegro nel suo seno e nella fede) di abiurarle.
Bruno si trovo di fronte ad una svolta: poteva accettare di rettificare la sua posizione religiosa (data la sua sostanziale indifferenza alle religioni istituzionali), ma non di abiurare la sua filosofia.

Dopo vari ultimatum, il 21 dicembre del 1599 Bruno dichiarò definitivamente "di non volersi pentire, di non avere di che pentirsi e di non sapere di cosa pentirsi".

L’ 8 febbraio del 1600 venne dichiarato "eretico impenitente" e fu pronunciata la sentenza di condanna a morte.
Secondo la prassi doveva essere eseguita entro le ventiquattro ore, ma venne rinviata fino al 17 febbraio, nel tentativo di far recedere il filosofo.

All'alba del 17 febbraio 1600, Giordano Bruno, consegnato alle autorità secolari per l'esecuzione della condanna (la Chiesa non eseguiva direttamente le sentenze), con la lingua attanagliata dalla mordacchia (una morsa per evitare che proferisse parola), salì sul rogo nella piazza di Campo de' Fiori a Roma e fu bruciato vivo.

Pur essendo un martire del pensiero laico, va ricordato che Giordano Bruno era un filosofo fortemente religioso (che non significa confessionale) e soprattutto per questo fu condannato.
Rimane comunque una vittima dell'intolleranza e un eroe del libero pensiero.

Le parole che la tradizione ci riporta come pronunciate da Bruno al momento della condanna ci rivelano la sua tempra e la sua coerenza: "Tremate forse più voi nel pronunciar la sentenza che io nel riceverla".



Ho lottato, e molto: credetti poter vincere (ma alle membra venne negata la forza dell'animo), e la sorte e la natura repressero lo studio e gli sforzi.
È già qualcosa l'essersi cimentati; giacché vincere vedo che è nelle mani del fato.
Per quel che mi riguarda ho fatto il possibile, che nessuna delle generazioni venture mi negherà; quel che un vincitore poteva metterci di suo: non aver temuto la morte, non aver ceduto con fermo viso a nessun simile, aver preferito una morte animosa a un'imbelle vita.






Uno sguardo oltre il Vesuvio: ogni limite è tale finché non decidiamo di superarlo.

Bruno fin da bambino dimostrava straordinaria libertà e indipendenza di giudizio.
Guardando dalla finestra di casa sua, credeva che oltre il Vesuvio non esistesse più niente. Però volle andare a verificare di persona e, salito sul vulcano, si accorse che non era così.